Apprezzata pièce di Cinzia Pietribiasi, al "Magnifico Teatro"
di Maria Ricca
Tre
figure forti, emblematiche, rappresentative di una condizione di infelice
incomunicabilità. Un uomo forte e severo, un giovane tormentato e succube, una
donna fragile, che “deforma se stessa”, per non apparire “deformata”. Un’unica
convinzione, la necessità di lottare, di resistere, di non credere a chi ripete
le cose mille volte, fino a farne verità, un “frullato di luoghi comuni”. Lo scontro
fisico e verbale è inevitabile. Ribellarsi fino a diventare libellule
impazzite, prigioniere di un corpo non proprio, è l’unica strada da
intraprendere. Ma vincere non è facile. Passando attraverso le fasi del cinismo
e dell’assurdità, non resta che l’oblìo finale, ottenuto attraverso un cocktail micidiale di farmaci ed alcool,
assunti sulle spensierate note di “That’s amore”, con il brio di un’incoscienza,
che è invece drammatica consapevolezza dell’unica via di fuga. Una pièce molto
forte, molto intensa, è stata “Freeze”, sul
“congelamento delle emozioni e delle relazioni”, nata da testi dello psichiatra
scozzese Ronald David Laing, e andata in scena per la rassegna “Magnifico
Teatro”, del “Magnifico Visbaal”, promossa dall’attore e regista Peppe Fonzo, direzione
organizzativa di Rosaria Aragiusto.
Al
vertice della produzione Cinzia Pietribiasi, attrice, danz’autrice, docente di
teatro, in scena con Pierluigi Tedeschi, performer, autore teatrale e
scrittore, e Davide Tagliavini, interprete sensibile e convincente. Forti tutti di una straordinaria fisicità, in
una dimensione grandemente performativa, ove corpo, respiro, luce, oggetti sono
stati uniti da uno studio particolare, cui hanno concorso a determinare
tragicità, movimento e danza, l’installazione visiva e le particolari scelte sonore.
“E’
un lavoro di teatro sperimentale di ricerca, questo – conferma la Pietribiasi –
che mette insieme molti linguaggi e che è stato addirittura definito “preparati
anatomici congelati”, perché presenta tre persone, un uomo, una donna, un
ragazzo, che si relazionano con difficoltà, in una comunicazione “disfunzionale”.
La
nostra ricerca artistica va nella direzione
della contaminazione, per disegnare sulla scena delle visioni, delle
suggestioni, che arrivano da questi testi particolari.”
Per
lei, che è anche “trainer teatrale”, sarebbe bello se “questo lavoro varcasse
il confine del mondo adulto, e fosse presentato
anche alla fascia d’età dell’adolescenza. Ha un linguaggio complesso,
difficile, ma credo potrebbe essere utile vederlo.”
Quanto
è complicato oggi, fare teatro sperimentale in Italia? “Estremamente problematico,
in verità – conclude la Pietribiasi - Lavoriamo in autoproduzione, per la
maggior parte del tempo. Ma è bello scoprire quante persone possono apprezzare
i tuoi sforzi, credere in te e darti sostegno per continuare. Noi veniamo da Reggio Emilia, e questo è accaduto
proprio lì. Segno che, evidentemente, è forse proprio dalla provincia che può
partire, come dire, un po’ di movimento, di rinnovamento intellettuale.”