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10/03/14

TELESE T. - La poesia ed il suo percorso nella contemporaneità. Se ne parla alla Fondazione Romano il 12 marzo

Mercoledì prossimo, 12 marzo, alle 18.30, la Fondazione Gerardino Romano, presso la sede sociale di Telese Terme, accoglierà Marco Bellini e Lino Angiuli.
All'evento, coordinato da Felice Casucci e dalla poetessa sannita Rita Pacilio, si approfondiranno tematiche riguardanti la poesia ed il suo percorso nella contemporaneità.
Parteciperà Diana Battaggia, responsabile per la poesia della casa editrice milanese "La Vita Felice".
Partendo dal libro di Marco Bellini, "Sotto l'ultima pietra" (La Vita Felice, 2013) ed estrapolando brani dal lavoro di Lino Angiuli, "L'appello della mano" (Nino Aragno Editore, 2012), si svilupperà un dialogo sull'atto fondativo del disporsi po-etico oggi.
"Le due raccolte che si presentano costituiscono - si legge in una nota - occasioni di un confronto straordinario, trattandosi di piccoli gioielli di un immacolato ricomporsi, nel verso, di questioni pubbliche ("un campo profughi", piuttosto che "i morti di guerra") e private (fatte di "orto", "briciole di pane" e "silenzio" o d’altro, apparentemente altro, come "campanili in pasta di mandorla amara").
Il testo "Sotto l'ultima pietra", si disancora, "seguendo l'acqua" dell'Adda (un fiume di "vite portate via", che restituisce "la voce dei morti"), dalla sua "radice" fino quasi a Cremona, dove "un altro nome veste la nervatura"; s'insedia, "sotto l'ultima pietra", tra "la roccia e l'asfalto", la "tangenziale est di Milano all'altezza di Corvetto" (ed è lì che "stupisce l'equità degli astri disponibili al decoro sopra la fanchiglia del labirinto, i sentieri che interrompono l'armonia dei rifiuti"), le case di Blera, o all'angolo di San Vittore; si rivela, nel "Dna" dei luoghi e dei gesti elementari, universali, nelle "geometrie liquide" ("le forme geometriche fissate nelle conchiglie"), nella "biblioteca", sui "rondoni", al "semaforo", dinanzi alle "case", tutto avvinto da una fantasiosa "incertezza che ride nelle strade". 
Il testo "L'appello della mano": si dedica, con mani dai "cento occhi", ad una madre "fontana di parole", passando per Re Lear ("uno che, per esperienza dei propri dolori, sa compiangere quelli degli altri"), in cerca di una nuova "pace" del cuore; si misura, come il peso di "un sorriso a fondo perduto", affrontando il valore "sacro del respiro nostro", non tradendo niente della potatura di memorie promesse; si consuma, come un tascapane di sillabe buone, o come cicale aggrappate alla controra, in un'eterna metamorfosi di colori ardenti; si ripete, nelle "orazioni settimanali", con ritmi aerei di sprigionamento metrico, senza preconcetti e senza comandi; si sfila, dalla catena dell'inverosimile, come gocce di rugiada da un fiore, divenendo una femminilità, un paradiso alla volta; si contorce, in qualche pozzo nero, allorquando finiscono i concerti di grano; nei dintorni geografici di una pietà nascitura dagli steli, visceralmente umana; si ferma, quaggiù, nella consecutività numerica dello sguardo, che scorre il "calendario di domani quel calendario alla luce del sole che sopraggiungerà a giudicare le voci vecchie eppure quelle nuove amen".