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07/04/14

BENEVENTO - L'intensa "Miriàm" di Adriana Follieri: la storia dolente di un riscatto al femminile incanta il pubblico del "Magnifico Teatro"

di Maria Ricca

La forza evocatrice della voce, prima ancora che delle parole. E’ stata quella al centro dell’interpretazione di un’ispirata Adriana Follieri, regista ed interprete di “Miriàm”, nella suggestiva performance “"Storia laica di una nascita annunciata”, messa in scena con “Manovalanza”, per la rassegna “Magnifico Teatro”, del “Magnifico Visbaal”, sabato 5 e domenica 6 aprile, nello spazio di via Cupa Ponticelli.  
E’ stata lei,  attrice, formatasi alla scuola ideale del Teatro Segreto di Claudio Di Palma e e Ruggero Cappuccio, e poi perfezionatasi, fra gli altri,  con Ferruccio Soleri ed Enrique Vargas, già a Benevento il settembre scorso, per curare il laboratorio “MatriMORO”, il fulcro dell’intensa performance, su testi di  De Luca, Merini,  Neruda,  Gualtieri, sottolineata al violoncello da Pasquale Termini e commentata dalla semplicissima controscena di Fiorenzo Madonna-"Joseph".
Miriàm, bella e dolente, Miriàm, coraggiosa e decisa, Miriàm mai disperata. Solo serenamente consapevole. Forte di quel bimbo che porta in grembo, che ama teneramente, quando è ancora solo “minuscola anfora d’argilla”, progetto, più che vita già consapevole. Miriàm che sfida tutto e tutti, vergine-bambina del racconto biblico, non già la Vergine Maria della devozione cristiana, ma la fanciulla,  sposa promessa di Jòsef, eppure incinta non di quell’uomo buono. Lei che per lui non sarà mai “pietra di scarto”, ma “testata d’angolo”, gli si offre comunque sicura e sincera, senza nascondere nulla di sé.
E gli racconta di come l’angelo le sia comparso dinanzi e lei abbia sentito il proprio ventre vibrare (e il respiro sempre più intenso dell’attrice è sembrato mimare l’atto del concepimento, sia pure immacolato).
Jòsef la sposa e lei cammina a testa alta per lui e per il bimbo che ha nel grembo, incurante delle cattiverie della gente, facendo una corazza del suo ventre, contro le lapidazioni scampate.
Fino all’epilogo della sua gravidanza, che culmina in un parto in solitudine, il momento sicuramente più intenso dell’interpretazione dell’attrice,  splendida nel restituire l’immagine di quella donna, finalmente madre, che dà alla luce il suo Hesciù, in una capanna sperduta nel deserto.
E’ sola con lui, nella notte più bella ed intensa, tenerissima, quella che prelude all’incontro col mondo esterno, che inevitabilmente condizionerà entrambi.
Ma ancora una volta non ha paura, Miriàm.
Se non di perdere il suo Hesciù, che profuma come il “pane che viene offerto in sacrificio al Tempio”.
E c’è spazio, allora, solo per una “preghiera alla rovescia”, per lei, serva del Signore: “Dio, fa che non sia un essere eccezionale, il mio Hesciù, che sia pieno di difetti, mediocre, semplice…E che perciò si salvi dal mondo…”
L’ultima, strenua, ingenua difesa di una madre prima dell’abisso, per quel Figlio amatissimo, eccezionale, invero, eppur vittima sacrificale, primo ad affrontare  il Calvario dei morti innocenti per mano di legge, vittime dell’ingiustizia della giustizia,  tragicamente attuale.
Del racconto biblico, mai confessionale, resta la vicenda attuale da cronaca nera, nerissima.
In una storia che di “soprannaturale”, di evocativamente religioso, in senso stretto non vuole avere niente, ma che resta solo profondamente attuale ed umana. "Io amo la vita/ perché se morissi/ non sopporterei il pianto di mia madre." , dice il condannato. Ma non c’è salvezza, su questa terra. E quella dei Cieli non è qui contemplata.