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11/05/14

BENEVENTO - Ode al vino, "concentrato filosofico di amore e di luce", nell'interpretazione del Magnifico Visbaal

Seduce il suggestivo allestimento all'Arcos, per il "Forum internazionale delle Culture"

di Maria Ricca

“Cos’è il vino? Un umore speciale, un nettare sublime, un concentrato filosofico di amore e di luce, uno “statu quo, un antesignano del “global world”. Quel che è certo  è che agli astemi va tutta la nostra solidarietà…” . Così “Vinicio” - Peppe Fonzo, nell’introduzione allo spettacolo proposto questo week-end nell’ambito del Forum Internazionale per le Culture, sezione di Benevento, con i suoi attori de “Il Magnifico Visbaal”, su musiche scelte da Dario Miranda..
E’ lui a condurci, novello Virgilio, suonando la fisarmonica, attraverso i corridoi “ incantati” del Museo Arcos.  E così, in un’atmosfera raccolta  e suggestiva,  evocate progressivamente dal buio, figure emblematiche idealmente prendono  per mano i docili e collaborativi spettatori, che si lasciano volentieri sedurre. “Si può ascoltare il suono del vino solo se si separa il cuore dalla mente”, sussurra una fanciulla in bianco (Katiuscia Romano) lasciando che gli astanti ricordino con lei le mille avventure de “il sangue delle divinità”, noto fin dalla notte dei tempi. Ne parla la mitologia antica,  con Bacco e gli effetti del vino sui suoi seguaci, dapprima allegri e canterini, poi tonti come un asino, ma anche la storia, con Erodoto, che narra come “i Persiani, prima di prendere qualsiasi importante decisione” si ubriacassero e persino la Bibbia, poiché la prima sbronza in assoluto, forse forse,  se la prese proprio Noè, durante il diluvio universale, del che è narrazione nel sesto capitolo del libro della Genesi.
Dal suono al profumo. 
Tocca poi ad un’attraente  fanciulla in rosso vinaccia (Giusy De Rienzo), tra petali di fiori, essenze di frutta ed aromi dei più vari, comporre in diversi  calici, dopo aver pestato gli ingredienti in un mortaio, il succo amabile delle diverse qualità di vino, che porge di volta in volta all’odorato degli spettatori. Ma l’amabile sacerdotessa in un attimo si trasforma in strega, e rivela  la parte più nascosta di sé, tra i fumi dell’alcool. E compone non vino, ma aceto.
Come fosse facile, ottenere il vino…Ci vuole fatica, altroché, quella che ogni giorno, per un tempo che si direbbe infinito, chi lo produce deve compiere per giungere al  massimo risultato. Lo sa chi pigia (Newton Fusco), come si faceva una volta, l’uva nei tini e poi attende che fermenti e si trasformi da acino in succo. Sì, ma “ ‘o profum’ d’’a fatica t’o scuord’”, quando sei preso nell’opera, anzi “quando fai il vino tuo, non la senti proprio!”.
C’è tempo, infine, per lasciarsi rapire da un’altra suggestione: stavolta è il vino stesso a parlare, a raccontare la danza sublime, un tango, naturalmente, e non c’è altro per sedurre, e la gioia immensa che compie nello scendere nella gola di un uomo sfinito, e ridargli le forze. Meglio che il freddo delle cantine, il caldo avvolgente del corpo umano.
“Un buon sorso di vino e la vita cambia. Perché il vino è come musica – conclude Vinicio – e il suo ritmo può essere piano, adagio, lento e forte e legarsi a differenti melodie di altrettanti autori, che lo caratterizzano.”
Tutto è compiuto, non resta che gustare insieme, infine, seduti su panche bianche nel buio, lo splendido umore rosso. “Bevilo tutto, bevilo qua”, esortano gli attori, offrendo i calici agli spettatori, in un “baccanale” conclusivo, in cui c’è spazio per aneddoti, battute, risate, canti allegri e tristi e per il brindisi più famoso: “Aiza aiza aiza, acala acala acala, accosta accosta accosta, ‘a saluta nostra…”   
Uno spettacolo che è stato davvero un’apprezzatissima  “chicca”, che rivela uno studio attento dei particolari, e una cura speciale, dalla  scelta delle musiche a quella dei testi, alla sapienza delle interpretazioni, in cui ciascun elemento contribuisce e partecipa al risultato finale ed è inscindibile dagli altri. Applausi convinti e la speranza di poterlo rivedere presto in scena.