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10/04/15

TEATRO – Le “Mulignane” di Gea Martire, che nutrono il corpo e liberano dolorosamente lo spirito

Esordio brillantissimo della rassegna "Obiettivo T" della Solot, al Mulino Pacifico


di Maria Ricca

“Mulignane”, ovvero “Cinquanta sfumature di grigio” e di solitudine, come solo può essere quella di una donna del Sud, lavoratrice indefessa e maltrattata, trascurata nell’aspetto e dolorosamente  nubile, anzi, a dirla tutta, inevitabilmente “zitella”. Non è necessario, infatti,  appartenere alla cultura islamica ed indossare il velo per essere sottomesse, ma si può esserlo anche qui, nell’Occidente del Sud Italia, soprattutto, in una realtà spesso “bigotta”, che ti dà diritto di cittadinanza nella società, innanzitutto se moglie e madre e poi, solo poi, se professionista.  
E’ diventata, dunque,   una splendida “maschera tragica”, la disinvolta e consapevole Gea Martire,  attrice di spessore, interprete e “madrina” dello spettacolo di apertura della rassegna di teatro brillante “Obiettivo T”, promossa dalla Solot,  al Mulino Pacifico.  Forte di una professionalità matura e consapevole, che l’ha resa libera di vestire qualsiasi  abito di scena ed in grado di comunicare visivamente, lei sola e pochi arredi, con movimenti e sospiri, ogni volta un messaggio diverso.   
Stavolta ha scelto di raccontare la storia di una donna senza nome,  cittadina di un mondo in cui la delicatezza interiore non paga. Non ha grinta, e perciò è utilmente sottomessa da tutti. Dalla madre, che le impone canottiere ingombranti e mutandone con l’elastico, comprate all’ingrosso nella merceria sotto casa, per risparmiare, dal capo Arturo, che la umilia e la costringe a lavorare a Ferragosto, perché “tanto non ha nulla da fare e nessuno di cui occuparsi”, dalle amiche che, nell’incontro del giovedì , fanno a gara a raccontarle le avventure amorose casalinghe, di cui sono protagoniste col marito. Fanno tutti il vocione grosso con lei, che, se si ribella, osando acquisti al sexy shop,  è una poco di buono, che può bruciare al fuoco dell’Inferno. Dunque non le resta che subire,  consapevolmente, forte solo di  una  “malinconia spiritosa”, che le consente di sopravvivere,  come racconta la stessa Gea Martire prima dello spettacolo. Fino ad accettare l’unico rapporto di cui si sente degna, una relazione “sadomaso” con Peppino, il fattorino maniaco , che fa consegne in ufficio e la sottopone ad ogni genere di perversione.
Ma, paradossalmente,  sarà proprio da quel rapporto che lei trarrà nuovo  vigore per affermare finalmente se stessa e la propria personalità, abbandonando l’armatura  infelice e gli occhiali spessi, in favore di tacchi alti ed abito rosso, da “diamante”, lei che “pietra grezza” era sempre stata. E che ora, divenuta  “padrona”, è invidiata e temuta , rifiutata alla fine anche dal suo “amante”, che non accetta per lei, altro ruolo che sua vittima. E quelle “Mulignane” del titolo sono allo stesso tempo i gustosissimi ortaggi cucinati secondo tradizione, simbolo della dittatura familiare di una madre ingombrante,  e i “lividi” che il bruto le lascia sul corpo, in una meravigliosa  metafora linguistica tutta napoletana. Ma  da quell’esperienza forte e traumatica, la donna trarrà il vigore per un viaggio catartico attraverso il dolore,  verso una nuova forma di “solitudine”, che sarà piuttosto, finalmente, “indipendenza”.   E stare sola,  adesso, non pesa più.

 Una pièce che è arrivata a Benevento, alla vigilia dell’8 marzo, ricorrenza dedicata alle donne, alle loro conquiste, per le quali molto è stato fatto, anche se, per produrre qualcosa di buono, occorre fare  innanzitutto i conti con se stessi. 
“Un esordio indovinato -  conclude Tonino Intorcia, al vertice della Solot, con Michelangelo Fetto - che si iscrive nel filone della qualità e delle affinità di pensiero”, su cui si fondano da sempre le scelte della Compagnia, promotrice di “Obiettivo T”, anche stavolta premiate dal pubblico. Prossimo appuntamento, sabato 14 marzo con Rita Pacilio, sempre al Mulino (pubblicato domenica 8 marzo 2015)