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12/04/15

LIBRI - “Il mio “Caffè dei Miracoli” dedicato alle donne e al loro coraggio di cambiare”

Di Mare ed El Kozeh

Il giornalista Franco Di Mare, al Museo del Sannio di Benevento, racconta la sua opera con la scrittrice Pedicini, il regista Vestoso ed il cantautore Coppola,  “esegeti” d’eccezione


di Maria Ricca

Tre lettori d’eccezione sabato 11 aprile, al Museo del Sannio, per raccontare “Il caffè dei miracoli”, di Franco Di Mare, impegnato a Benevento in un piacevolissimo “tour de force”
Il presidente Lions Lonardo
per portare in città la propria esperienza professionale ed emotiva. Dopo l’incontro mattutino all’Unifortunato, in cui si è discusso di web e comunicazione, il conduttore di Uno Mattina, invitato ad accomodarsi in prima fila  da Jean Pierre El Kozeh, organizzatore con la sua Mediart, dell’evento, per un sodalizio col giornalista che dura da almeno dieci anni, ha ascoltato gli interventi dei suoi “mèntori” sanniti, giovanissimi ed attivi nel settore letterario, cinematografico e musicale. “Perché i romanzi – ha confermato El Kozeh all’inizio
La scrittrice Isabella Pedicini
dell’incontro,  promosso dai Lions Club Benevento Host ed introdotto dal presidente Antonio Lonardo, al pianoforte  Antonello Rapuano – una volta scritti, appartengono a chi li legge ed è quindi giusto che vengano commentati e diffusi dal pubblico, più che dagli stessi autori.” Un’idea vincente, che ha consentito agli intervenuti, tantissimi, in una sala gremita all’inverosimile, di godere appieno delle varie fasi della serata, senza accusare noia e cali di ritmo. E’ toccato così ad Isabella Pedicini rompere il ghiaccio ed iniziare a
Il regista Valerio Vestoso
raccontare di Bauci, la cittadina immaginaria in cui è ambientata la vicenda narrata nel libro, dove, all’improvviso vien posta una statua di Botero, l’immaginaria “Maya Tropical”,  donna senza veli, formosa e attraente, il cui volto è rivolto al mare, laddove il lato B, invece, è prospiciente la Chiesa del paese. Un’opera d’arte discussa da tutti, sia da chi l’apprezza incondizionatamente, sia da chi, invece, ne contesta forme e significati,
Il pubblico intervenuto
auspicandone la rimozione, perché peccaminosa ed indecente. C’è spazio per i ricordi letterari della Pedicini, su tutti quelli delle metamorfosi ovidiane di Filemone e Bauci e per “La città invisibile” di Calvino, ove gli abitanti vivono su palafitte, per guardare dall’alto la terra e non lasciarsi da essa coinvolgere. Ed è ancora una volta  il punto di vista femminile sulla realtà che si rivela vincente e non cinico, come quello dei “maschi” del paese, ha confermato la Pedicini, per “un romanzo che rappresenta l’effetto della bellezza sugli esseri umani”, scritto peraltro da un giornalista come Di Mare, già inviato di guerra, che per una volta, “si è concentrato su una storia di pace, senza tempo, mettendo da parte l’orrore e la bruttezza, per concedersi alla bellezza.” Quella della “novità”, che impatta sulla vita della provincia – ha poi sottolineato il regista Valerio Vestoso, sconvolgendola e dominandola. Proprio come ne “L’uomo delle Stelle” di Tornatore, o nel “Postino” di Troisi, dove la “poesia” è il nuovo che affascina la giovane Beatrice e stupisce la zia, troppo attaccata alla cruda esperienza della sua vita,  per comprendere la purezza di quel sentimento. Ma il "nuovo" che spaventa è  anche la diversità dell’”arte contemporanea” su cui argutamente si interrogano il portiere Salvatore ed il netturbino Saverio, con il professor Bellavista, nel film di De Crescenzo, meditando su alcune “ceramiche d’autore”. Contributi filmici proposti al pubblico da Vestoso. Infine, l’intervento di Fabrizio Coppola, milanese di sangue meridionale, ormai naturalizzato beneventano: “Un romanzo, quello di Franco Di Mare – ha detto – tutto sull’accettazione di un cambiamento. Ed è insopportabile la pretesa di chi vorrebbe, in nome della paura del nuovo – fermare ogni progresso, anziché abbracciare quelle novità che potrebbero dare utile slancio e fare la differenza, soprattutto per le piccole realtà come quella descritta e come la stessa Benevento, che, se le accogliesse, potrebbe davvero fare la differenza, in nome della qualità della vita, con le città più grandi. “Perché – ha chiuso, citando John F. Kennedy – occorre smettere di chiedersi cosa il Paese possa fare per noi e cercare di capire cosa noi possiamo fare per il Paese.”  In chiusura,  Di Mare: “Ho scoperto cose del mio libro, ascoltando i giovani “esegeti” – ha concluso – che io stesso non immaginavo e questo perché, nella lettura, ognuno si confronta con i propri background culturali.” La scrittura del romanzo ha richiesto all’Autore una certa versatilità per l’immedesimarsi nei panni dei diversi personaggi che commentano l’accaduto. Dall’adolescente inquieta col piercing, alla donna matura ed intelligente, dall’anziano tutto d’un pezzo al giovane allegro e superficiale. Ed a proposito dell’accoglimento riservato alle novità, “è vero – che nei piccoli centri c’è grande resistenza al cambiamento, come conferma il sociologo Domenico De Masi,  le cui idee innovative sono state guardate, persino nella magica Ravello, con sospetto, e che  sono sempre soprattutto le donne le prime ad aprirsi alla rinascita. Ne ho avuto testimonianza quando ero inviato di guerra: le rose migliori erano quelle che nascevano sulle macerie, e solo gli uomini innamorati, quindi più inclini, in quel momento,  ad una certa dimensione “al femminile”, si aprono, poi,  al progetto. Insomma il mio libro – ha concluso Di Mare – è dedicato alle donne e al loro coraggio di cambiare.”