di Maria Ricca
Può scoppiare una coppia come
scoppierebbe una torta di compleanno? Sicuramente, se questa rappresenta l’ordine
perfetto e costituito delle cose, la bellezza completa e compiuta di un
rapporto che ad un certo punto deflagra per mille motivi, tutti, dal più banale
al più importante, piccole, intense mine vaganti, pronte a colpire al cuore la
più unita delle coppie.
E’ il tema al centro de “L’amore per le cose assenti”, l’opera che
Luciano Melchionna, autore e regista, ha portato quest’anno a “Benevento Città
Spettacolo”, nel riaperto Teatro De Simone, gioiellino sì, ma dall’acustica
infelice, ideale “sequel” di “Non camminare scalza”, suo lavoro del passato,
molto apprezzato nei circuiti off, ma poco popolare, come racconta, in apertura
di pièce, nel prologo, un singolare clown al femminile, (costumi di Milla) chiamato
a tirare le fila della narrazione e ad introdurre, portandola all’attenzione
del pubblico, la storia di Laura, protagonista della pièce. Nel giorno del suo quarantesimo compleanno, la
donna riceve in regalo, sotto forma di “proiettili vaganti”, tutto il profondo
coacervo di emozioni che il marito le “spara” contro, per liberarsi finalmente,
tra mille livori, di lei e del profondo disagio nel portare avanti una
relazione divenuta infelice e ormai
dominata più dal nervosismo e dall’analisi certosina e sistematica di ogni
respiro del coniuge, che dall’amore. Impossibile, dunque, sopravvivere all’autopsia dei sentimenti. L’unica
è prendere le distanze dall’ex oggetto del desiderio , come tenta di fare il
marito di lei, senza risparmiarle nulla.
Non ci sta Laura, e come potrebbe? Così, dopo lo smarrimento iniziale, indossa la
giacca scura della rabbia e a lui che le implora di non farlo sentire in colpa,
tributa, compiaciuta dell’effetto esplosivo delle sue parole, il suo …”ringraziamento”, per averla liberata dalla gabbia.
Riattivare un cuore ormai spento,
come quello immaginato dalla splendida scenografia di Roberto Crea, non si può. E ci si prova invano. Salvo poi
scoprire che non tutto può essere perduto. Soprattutto se si giunge alla
certezza che per stare insieme negli anni che hanno preceduto lo scoppio
della crisi si è provato con sincerità e dedizione a fare davvero di tutto per
l’altro. E che in fondo il periodo trascorso è stato utile palestra per
entrambi, per imparare insieme come si
sta in una dimensione di coppia.
Nulla vieta, a questo punto, dopo
lo scontro catartico, di ricominciare tutto daccapo, forti di un nuovo inizio,
reso più intenso da una nuova reciproca consapevolezza di sé e dell’altro. Le
musiche originali di Stag sottolineano la rinnovata intesa.
Sul cuore rosso di passione ci si
adagia, dunque, ancora, ma stavolta per
consumare il primo appassionato amplesso del nuovo corso.
Durerà? Chi può dirlo? Gli
spettatori, indagatori e “guardoni”, vorrebbero saperlo, certo, ma la verità è
che non lo sa nessuno. E del resto, chiosa lo spirito-guida della narrazione, “Each
man kills the thing he loves”, “Ogni uomo uccide ciò che ama”, sicchè…
Applausi alla fine, per una pièce
che ha valorizzato il talento degli attori, Giandomenico Cupaiuolo, Autilia Ranieri e Her
e l’intensa interpretazione di ciascuno di loro, non scevra da sapiente
ironia.