PARLIAMO DI...


17/01/19

IL RICORDO - Antonio Sorgente-Don Saverio: quello sguardo acuto e quell'ironia fulminante sulla vita


di Maria Ricca

BENEVENTO - La notizia che non avresti mai voluto ricevere...Antonio Sorgente, in arte “Don Saverio” non è più. Così dicono nei necrologi ufficiali. In quelli che contano. Lui avrebbe sorriso, avrebbe scrollato le spalle, avrebbe detto “Salute a noi!”. Sì, perché le persone come Antonio Sorgente, che hanno la capacità di raccontare la storia di un popolo dalla parte del popolo, con garbo ed ironia, denunciando i vizi e le magagne delle amministrazioni che si sono succedute al vertice delle istituzioni, non muoiono mai. Non se lo possono permettere. E non è retorica, è verità.
Perché sono espressione di un patrimonio letterario, di cultura e tradizione scritta, televisiva, orale, che non può, che non deve andare perduto. E va coltivato e custodito in ogni modo. In attesa che un erede ne raccolga il testimone.
Aveva cominciato giovanissimo Antonio Sorgente, com'è noto, nei teatri di quartiere, poi come interprete comico nell'Orchestra tipica Hula Hula del M° Italo Cammarota, aveva conosciuto Eduardo, in un “Natale in casa Cupiello”, che inaugurò il teatro Massimo di Benevento non so più quanti anni fa...
E poi, docente di Francese nella vita professionale, attore e cultore delle tradizioni nel cuore,  aveva avuto l'ambizione e le qualità per narrare le vicende della sua città nelle edizioni ormai esaurite della sua “Storia di Benevento, scritta da don Saverio 'u sturione”, appunto, il Pasquino sannita che non faceva sconti a nessuno, dedicando, nel frattempo, i suoi versi “sfiziosi” alle figure e alle situazioni tipiche di una comunità che conosceva ed amava nelle sue pieghe più intime e nascoste, cogliendo il lato ironico di ogni situazione. E recuperando e ritrovando ogni volta il dialetto vero e verace della città, con espressioni tipiche ed emotivamente coinvolgenti della lingua che fu, perdutasi negli anni, ma non nei cuori.
Dagli anziani, che amano ritrovarsi nel parco cittadino a discutere dei progressi della scienza (“I viecchie, dint' a Villa Comunale, parlan' 'e chest 'e chell, comm' qual'...I soliti discorse d''a vicchiaia...”), all'ambizioso “zi Tore”, che, nel mezzo di un festino nuziale , decide di prodursi nel discorso agli sposi e si rende ridicolo, per l'abbigliamento involutamente discinto, ai fanatici della linea, che si gioverebbero dal mangiare “cchiù poc maccarune...”, ai colti che scelgono i libri solo dal colore più adatto all'arredamento, nulla sfuggiva al suo sguardo acuto, nulla alla sua ironia fulminante.
L'approdo alla Tv, nei primi anni Ottanta, fu naturale. Le emittenti locali ne accolsero il brio e l'ironia, dando spazio ai “Quiz, friz e laz” di programmi registrati così, in presa diretta, per conservarne la spontaneità.
Accanto a lui i testimoni di un'epoca, gli amici di una vita, Gino La Polla, Raffaele Russo, Ninì Pagliuca,  professionisti impeccabili, nei vari ruoli di co-presentatore e musicisti, il fratello Silvio Sorgente, valido sassofonista, e, infine, l'indimenticabile, garbato don Peppino Fallarino, la voce sottile e suggestiva di Pino D'Arienzo e la conduzione di chi scrive, che nei primi anni Novanta muoveva i primi passi nel mondo del giornalismo e rimaneva ammirata da tanto rigore e professionalità nel confezionare ogni volta un programma sempre diverso, ma sempre uguale a se stesso, per tradizione e convenzione.
Il capolavoro finale di Antonio Sorgente restava quel “tour de force” settimanale, 120 versi in puro vernacolo beneventano, scritti tutti di seguito, rigorosamente su un'antica Olivetti, mai al computer, e recitati tutti d'un fiato, l'”invettiva” di Don Saverio contro le storture istituzionali, diversa ogni volta ed ogni volta introdotta dalle note di “Palummella, zomp' 'e vvol...!”, canto dei ribelli contro l'oppressore, che nella sua versione diventava “Don Saverio...mo' c''e ccant' a chilli là!”, ovvero i “potenti”, che del popolino poco avevano cura. Il “comitato” autore delle proteste che poi spediva idealmente, in lettera, all'emittente televisiva che di volta in volta raccoglieva il suo sfogo (negli anni Canale 55, Teleluna, Cds Tv, Elletv), si ritrovava, da ottobre a maggio, nei “ciardinetti” sotto Palazzo Mosti, sede del “Comuno”, con “Don Pascale 'u pallista”, “Cuncetta la volgara”, “don Peppe il vecchio” e “Don Saverio, me medesimo, 'u sturione, bidello di scuola...”.
Si andava in onda fino a maggio, quando il caldo dei riflettori si faceva troppo intenso e allora bisognava aspettare la “rinfrescata”, per continuare. "Vi lasco e vi saluto...", diceva. La promessa era di ritrovarsi, poi, tutti a fine ottobre, ogni anno, per riprendere il cammino. .”Prufesso' – gli dicevo – quann' ce vedimm' mo' ?” Eh, Marì... mo' ce vedimm' p''u Corso.” Il suo quartier generale.
Ciao, don Saverio. Ciao, Maestro.