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30/01/19

TEATRO - "La ragazza si chiamava Anna": la Solot racconta l'Olocausto e commuove

di Emilio Spiniello

Quanti parallelismi ci possono essere tra un'adolescente dei tempi d'oggi ed un'altra di 70-80 anni fa? Molti, se la ragazza del passato si chiama Anna Frank e per di più è ebrea, in tempo di nazismo. La Solot, Compagnia Stabile di Benevento, ha celebrato la memoria dell'Olocausto con una toccante pièce interpretata da Antonio Intorcia, Assunta Maria Berruti e Carlotta Boccaccino. Preziosi gli interventi in scena di Michelangelo Fetto, il quale ha intervallato lo struggente racconto con le storie di altre vittime della guerra e della follia umana.
Come la senatrice a vita Liliana Segre, che da bambina fu espulsa da scuola per le leggi razziali e poi deportata al campo di concentramento di Auschwitz oppure la beneventana Tonina Ferrelli, finita sotterrata dalle bombe riversate sulla città nel 1943. E ancora la partigiana sannita Maria Penna, trucidata dai fascisti a Firenze nel giugno del 1944.
È un susseguirsi di ferocia e brutalità che l’uomo ha compiuto, tra l’indifferenza ed il torpore di altri uomini.
I casi odierni di divieto di sbarco di navi cariche di migranti, portano alla mente la vicenda della St. Louis: la nave di rifugiati ebrei rifiutata dagli USA nel 1939. Anche questo è stato mostrato in sala, grazie a diverse proiezioni.
“La ragazza si chiamava Anna” è una narrazione intensa sui crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale, con uno sguardo alla società contemporanea che, a quanto pare, non impara dalla storia. La protagonista elenca, non compredendo i reali motivi, il perché lei debba vivere assieme ai suoi genitori, in una mansarda nel cuore di Amsterdam. Il diario che Anna ha scritto durante il periodo trascorso in clandestinità farà conoscere la sua storia ed il suo dramma, comune a milioni di altre persone.
“La banalità del male”, citando Hannah Arendt, ci deve spingere sempre più a stare all’erta e vigilare, giacchè, riprendendo le parole del Capo dello Stato, le “atrocità della Shoah sono come un virus pronto a ritornare”.