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01/06/19

LIBRI - L'emozione di "Una furtiva lacrima", tra struggimento e disincanto

di Maria Ricca

BENEVENTO - Una serata speciale per un libro speciale. È “Una furtiva lacrima”, primo romanzo del drammaturgo e regista Manlio Santanelli, al centro dell' incontro promosso alla Libreria Guida dalla giornalista Elide Apice ed animato dall'intensa e funambolica interpretazione di Roberto Azzurro. Dopo l'introduzione, gli interventi  di chi scrive e del dott. Lucio Luciano, direttore dell'Asl n.1, che ha analizzato nel profondo i nuclei tematici dell'opera. Che si legge tutta d’un fiato, com’è  nello stile perfetto del romanzo nato dal “flusso di coscienza”. Ed è un ultimo lungo incontro fra Maestro ed allievo, che diventa una sorta di percorso, quasi un romanzo di formazione, per il protagonista che vive, suo malgrado, una sorta di avventura e finisce per ritrovare se stesso.
Manlio Santanelli, con una scrittura intensa ed accattivante, leggera e travolgente, coinvolge il lettore nel viaggio ideale compiuto dal personaggio, Giorgio Rinaldi, giovane, ma non giovanissimo collaboratore del Maestro Tarquinio Follini, regista ed autore.
E l’immedesimarsi  con il protagonista è inevitabile.
Chi legge entra effettivamente nella vicenda e segue i passi di Giorgio Rinaldi, come nello scorrere di un film, come seguito dalla macchina da presa, che sono gli occhi di chi guarda, ne avverte i turbamenti, non può fare a meno di condividerne emozioni e sensazioni.
Ma andiamo con ordine.
Giorgio Rinaldi, il protagonista, è un uomo disincantato, che ne ha viste già troppe. Lavora nel mondo del cinema, dove, come a teatro, si è detto,  tutto è finto,  ma niente è falso. E’ al fianco di Tarquinio Follini, suo maestro e mentore, in un mondo difficile a cui Giorgio approda, sfuggendo alla grigia esistenza tranquilla di impiegato da posto fisso, in cui l’accorata attenzione dei genitori, del padre, soprattutto, avrebbe voluto relegarlo.
E’ al mare, ad Ischia, con la frivola Linda, quando è raggiunto dalla telefonata che nessuno vorrebbe mai ricevere.
Gli amici lo avvertono che Tarquinio è in Normandia, a Caen, in una “clinica della speranza”, dove è approdato, per tentare le ultime cure per la più innominabile delle malattie. E’ verosimilmente il suo ultimo viaggio. Anche Flora, la compagna, lo ha lasciato al suo destino. Gli amici si dileguano. Tocca a Giorgio raggiungerlo.
Arriva, in effetti,  il momento di restituire quanto ottenuto dalla vita,  e Giorgio parte.
L’arrivo nel paesino francese dove si apre l’asettica clinica, un Ospedale Santuario, ove Giorgio può soggiornare per restare accanto all’amico, è l’approdo in una realtà sospesa, dove tutto appare lieve, dove le infermiere sono amorevolmente professionali, angeli che si muovono per alleviare le pene altrui ed hanno una soluzione per tutto.
Certo non vi è umanità, nel senso in cui siamo abituati ad intenderla, tutto  regolato da un preciso “do ut des”, economicamente parlando, ma  il confronto con la sanità nostrana è impietoso.
Da noi, si sa, almeno nella sanità pubblica, spesso l’individuo comune che approdi ad un nosocomio, si trova a fare i conti con una sorte di girone dantesco, malgrado la professionalità dei medici e la buona volontà degli infermieri.
Il compito di Giorgio è difficile, ma non impossibile e lui riesce a restituire al Maestro qualche ora di buonumore, ricordando aneddoti divertenti del loro passato comune, sopportando la sua drammatica ironia, “Sto morendo al di sopra delle mie possibilità”, dice, ad esempio Tarquinio, e così via.
Si immagini quale può essere il loro rapporto:  come si legge nelle note critiche,  Giorgio è un  intellettuale meridionale, Tarquinio è  meneghino di nascita,  ma è aperto agli stimoli di una cultura internazionale, i due si intendono a meraviglia. Vi è una complicità goliardica, ma sempre rispettosa, reciprocamente, e c’è ancora la voglia di commentare tutto, dalla bellezza delle infermiere che si alternano al capezzale dell’ammalato, alle vicende del loro passato, in un’amara consapevolezza di cose dette e non dette.
In serata Giorgio è accolto dalla virginale bellezza del letto candido che è riservato a lui, nella camera degli ospiti, nella quale si trattiene fino a notte fonda per scrivere le sue sceneggiature, modificare copioni, e così via.
Di mattina, però, per gli ospiti, l’ospedale è off-limits. Ed è proprio qui, fuori da quell’ambiente asettico, dov’è costretto a trascorrere le sue mattinate, in attesa di rientrare nel tardo pomeriggio, in clinica dall’amico, c’è un mondo inesplorato che attende Giorgio e le sue esigue finanze. E  di questo mondo il protagonista diviene sempre più consapevole.
Novello Leopold Bloom, Giorgio non si muove attraverso le strade di Dublino come l’Ulisse di Joyce, ma attraverso le vie del sonnolento paesino di Caen /Kon/, quasi impronunciabile, e vive il suo flusso di coscienza.
Non ha nulla da fare, eppure, ogni giorno sperimenta nuove sensazioni.
Innanzitutto c’è un irresistibile duello da combattere, quello che Giorgio ingaggia dapprima inconsapevolmente, poi consapevolmente con il Capitano, per aggiudicarsi  l’unica copia del giornale italiano, che Giorgio vuole portare ogni giorno a Tarquinio, per consolazione…
Il Capitano è l’unico italiano in zona, rimasto in Francia per amore, anche dopo la dipartita precoce della sua compagna e di lui Giorgio diverrà amico e con lui condividerà con lui riflessioni ed ironie.
Altri personaggi curiosi, poi,  popolano l’universo a metà fra la sofferenza e l’anelito alla vita.
Vi è la signora salernitana, che veglia il marito, è che vorrebbe fare della figlia una starlette del cinema e per questo tenta di avvicinare Giorgio, che cortesemente tenta di ridimensionarne le aspettative.
Vi è la seducente infermiera Evelyn.
Vi è soprattutto Mireille, infermiera specializzata anche lei.
E’ con lei che Giorgio entra in contatto. E’ lei che si rivela appassionata cultrice di cinema, è lei che veglia il Maestro Tarquinio ed è con lei che Giorgio, naturalmente, tenta un approccio coinvolgente.
I due si vedono, si incontrano…Ma, ad un certo punto,  Mireille gli rivela inaspettatamente di essere innamorata di Tarquinio, affascinata dalla sua personalità.
“Una furtiva lagrima” , dall’ Elisir d’Amore di Donizetti, come quella che solca il volto di Adina e rivela il suo amore per Nemorino, è la rivelazione della passione per il Maestro, che resta carismatico anche nel proprio letto d’ospedale. La splendida romanza di Donizetti è stata interpretata, alla fisarmonica e in voce da Eduarda Iscaro.
 “Giorgio – si legge -  a quel punto si sentì inspiegabilmente perso.
Dal centro degli eventi che aveva occupato finora realizzò di essere stato scagliato alla sua periferia, la stessa distanza lo separava da Tarquinio come da Mireille, era un attore che per due atti di uno spettacolo ha creduto di manovrarne lo sviluppo e nel terzo si vede relegato al ruolo di generico, se tutto va bene gli toccherà dare l’annuncio di rito. Il pranzo è pronto.”
E’ il terremoto. Quando Giorgio lo rivela al Maestro, quest’ultimo nega con tutte le sue forze l’estrema possibilità offertagli dalla vita
Quasi impazzisce Tarquinio. Si alza dal proprio letto, vaga per la stanza, si agita moltissimo, dà di matto. E’ un crescendo, fin quando non gli viene somministrato un sedativo.
Giorgio si sente profondamente colpevole. Ma è il professor Angelini, l’esimio medico curante di Tarquinio, a spiegare a Giorgio quanto avvenuto.
Semplicemente l’ io del  Maestro, dopo aver salito le scale della vita è arrrivato adesso alla sua parabola discendente, ne è consapevole, è proiettato verso la fine, ed ora non è più disposto a riaprire questo processo.
E, infatti, Tarquinio, a questo punto, chiede, esige con forza di andar via, di ritornare a Roma. Nessuno si può opporre alla sua volontà. Non si può che accontentarlo.
Mireille, che pure, presa dalla sindrome di “Io ti salverò”, si dichiara disposta a curarlo, a seguirlo, ad amarlo nonostante tutto e tutti, dovrà  accompagnare i due uomini per un tratto.
Alla fine Giorgio, rimasto sullo sfondo, descriverà, come in un film, la scena dell’addio fra i due. Il Maestro impaziente di andar via, lei commossa e dolente.
Cambia lo scenario.
Qualche tempo dopo Giorgio  rivedrà Mireille, giunta inaspettatamente a Roma.
Quando lei chiederà perché le sue lettere a Tarquinio non hanno ricevuto risposta e e anzi sono tornate indietro, lui non si sentirà di dirle la verità, ovvero che Tarquinio non l’ha più nominata. Dirà invece che il Maestro, vinto dal Gran Cimento della Morte, poco prima dell’ultimo dell’anno, si era sempre rammaricato di aver avuto l’opportunità di un incontro felice come quello con Mireille solo troppo tardi. Lei pare appagata.
Il resto è naturale. Giorgio e Mireille trascorrono dapprima la sera, poi la notte insieme a casa di lui, si amano, forse si consolano a vicenda, nell’atto fisico.
All’indomani lei parte, per sempre.
“Tout passe, tout lasse, tout casse e tout se remplace”.
Giorgio, alla fine di questo romanzo di formazione,  non è più quello che era all’inizio del libro, è estremamente consapevole del dolore dell’esistenza, della sua fugacità, ma anche della necessità di attraversarla con un filo di sagace ironia.
E senza voltarsi indietro.
Applausi ed in programma la presentazione del nuovo libro di Manlio Santanelli, a breve, dal titolo "Miranda".