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23/07/13

LA RECENSIONE - "I luoghi della memoria" di Adriana Pedicini, che "rapiscono" il lettore ...


di Maria Ricca



Un linguaggio potentemente immaginifico, ricco di descrizioni minuziose, che restituiscono immagini intense, dai contorni precisi ed inequivocabili. E rapiscono il lettore. E’ quanto immediatamente comunicano i “racconti sul filo della memoria, il ricordo, l’immaginazione, la fantasia”,  della docente beneventana  Adriana Pedicini, già ordinaria di Lettere Classiche al “Giannone”, da sempre poetessa e  scrittrice a tutto tondo e collaboratrice di blog e magazine on line.
“I luoghi della memoria”, appunto, presentato con successo in convegni in tutta Italia, edito per i tipi della Arduino Sacco, si legge tutto d’un fiato, avidamente, a cercare in quelle pagine molto di se stessi e delle proprie stesse esperienze.
Impossibile, così,  non risentire in bocca il “Sapore d’Infanzia” del pane appena sfornato e rivedere, nella figura antica della nonna Andreana, “maga del sacro rito”, dolce, affabile, garbata, profondamente religiosa e rispettosa degli affetti, quella apprezzata migliaia di volte nelle case di campagna che tutti in qualche modo abbiamo frequentato per poche ore o giorni, da ragazzini, o anche solo col pensiero, grazie ai racconti delle mamme. E chi non ha conosciuto una “chioccia” come Mariantonia, che agisce per “il bene dei suoi figli” e ne organizza impietosamente la vita, scegliendo per loro lavoro, spose, vita futura. Complementare è la sua, alla  figura più remissiva  che chiude la raccolta, quella della semplice ed onesta Maria, di cui seguiamo l’intero percorso di una vita punteggiata di sofferenze. Tre parabole  esemplificative,  anche storicamente, di quello che erano le fatiche esistenziali e il destino delle donne di certo nostro recente passato, pienamente votate ad un senso del dovere che era vocazione all’altro,  letto come governo della casa, necessità di porsi alla guida del nucleo familiare, come faro forte e indomito, impossibilità di cedere allo scoramento,  come coraggiose e sofferenti “Madonne” .
Adriana Pedicini
Poi, via via le altre figure. Tutte, per qualche verso,  solitarie e sofferenti, ciascuna a suo modo, perfettamente in opposizione a quelle istituzionali, in qualche modo a tale stile di vita ribelli, più o meno consapevolmente. Alternativamente vincenti o sconfitte.
Se vinta dalla vita è la struggente  figura della “gattara” Teresina, che lascia questa esistenza  quasi ululando alla luna e alle stelle, appoggiata d’estate al tronco di un albero, testimone di libertà e leggerezza, non scevra da sentimento forte, è,  invece,  la figura della “zingara” Josephine , anch’ella punto di riferimento molto “moderno” in sé, di una ribellione “ante litteram”.  Forte è Svetlana, che cerca se stessa “Sulle orme del padre”, soldato italiano caduto. Tenerissimo  il “cuore di sabbia” di Angelica, che muore vinta dal dolore per il suo Davide e per il loro amore malato. Moderna e  tristissima è  la condizione della donna che attende il suo “principe non vagamente azzurro”,  ma con un nome vero, che non tornerà più, ennesimo “eroe” che parte per aiutare gli altri a rendersi liberi.
“Vinta” dalla vita è Eliana, che inutilmente cerca di uscire dalla propria condizione, e solo come “giacinto bianco, rinato ai bordi di un’aiuola per effetto di un amore immenso”,  riesce a proseguire il proprio percorso, vivendo di preghiera e “reprimendo la rabbia per una vita ingrata”, come monaca di clausura.

Il riscatto, dunque, può passare solo attraverso la cultura, quella vera, quella che rende liberi, e che Nives tenta di impartire ai ragazzi di campagna che educa, cercando di sottrarli alle “lusinghe materiali”, non sempre con successo. Impossibile non sottolineare quanti ragazzi ancora oggi, sia pure in condizioni diverse da quelli descritti, non si impegnano nello studio, considerandolo inutile e faticoso, sedotti da facili e più immediati mezzi di guadagno.
Conseguente ed inevitabile, nel racconto “Esami di ammissione”, è la critica ad un certo modo di insegnare  (e chi ci dice che non sia così ancora per molti docenti!), ove al sapere “trasmesso e non modificabile” ci si avvicina senza “giudizio critico”, quello che invece potrebbe “vivificare” tale “lettera morta”. Ad impartire gli insegnamenti, inevitabile, una “Signorina maestra”, zia dignitosa ed austera, incapace di cogliere la bellezza del “diverso” e della tenerezza.  Quella della mamma di Livia, austera nella morte, ma dolcissima in vita e nei ricordi, espressione dell’affettuoso tepore materno, irripetibile e perciò stesso indimenticabile. Come il “Frammento d’amore”, “sospeso tra ricordo, immaginazione, realtà”, che pervade l’animo di una donna per un attimo solo, e in cambio del quale è “pronta ad offrire cento, mille giorni della sua monotona esistenza”. Al di là del dolore che reca con sé.