di Maria Ricca
Un
linguaggio potentemente immaginifico, ricco di descrizioni minuziose, che
restituiscono immagini intense, dai contorni precisi ed inequivocabili. E
rapiscono il lettore. E’ quanto immediatamente comunicano i “racconti sul filo
della memoria, il ricordo, l’immaginazione, la fantasia”, della docente beneventana Adriana Pedicini, già ordinaria di Lettere
Classiche al “Giannone”, da sempre poetessa e
scrittrice a tutto tondo e collaboratrice di blog e magazine on line.
“I
luoghi della memoria”, appunto, presentato con successo in convegni in tutta Italia, edito per i tipi della Arduino Sacco, si legge tutto d’un fiato, avidamente, a
cercare in quelle pagine molto di se stessi e delle proprie stesse esperienze.
Impossibile,
così, non risentire in bocca il “Sapore
d’Infanzia” del pane appena sfornato e rivedere, nella figura antica della
nonna Andreana, “maga del sacro rito”, dolce, affabile, garbata, profondamente
religiosa e rispettosa degli affetti, quella apprezzata migliaia di volte nelle
case di campagna che tutti in qualche modo abbiamo frequentato per poche ore o
giorni, da ragazzini, o anche solo col pensiero, grazie ai racconti delle
mamme. E chi non ha conosciuto una “chioccia” come Mariantonia, che agisce per
“il bene dei suoi figli” e ne organizza impietosamente la vita, scegliendo per
loro lavoro, spose, vita futura. Complementare è la sua, alla figura più remissiva che chiude la raccolta, quella della semplice
ed onesta Maria, di cui seguiamo l’intero percorso di una vita punteggiata di
sofferenze. Tre parabole
esemplificative, anche
storicamente, di quello che erano le fatiche esistenziali e il destino delle
donne di certo nostro recente passato, pienamente votate ad un senso del dovere
che era vocazione all’altro, letto come
governo della casa, necessità di porsi alla guida del nucleo familiare, come
faro forte e indomito, impossibilità di cedere allo scoramento, come coraggiose e sofferenti “Madonne” .
Adriana Pedicini |
Poi,
via via le altre figure. Tutte, per qualche verso, solitarie e sofferenti, ciascuna a suo modo,
perfettamente in opposizione a quelle istituzionali, in qualche modo a tale
stile di vita ribelli, più o meno consapevolmente. Alternativamente vincenti o
sconfitte.
Se
vinta dalla vita è la struggente figura
della “gattara” Teresina, che lascia questa esistenza quasi ululando alla luna e alle stelle, appoggiata
d’estate al tronco di un albero, testimone di libertà e leggerezza, non scevra
da sentimento forte, è, invece, la figura della “zingara” Josephine ,
anch’ella punto di riferimento molto “moderno” in sé, di una ribellione “ante
litteram”. Forte è Svetlana, che cerca
se stessa “Sulle orme del padre”, soldato italiano caduto. Tenerissimo il “cuore di sabbia” di Angelica, che muore
vinta dal dolore per il suo Davide e per il loro amore malato. Moderna e tristissima è
la condizione della donna che attende il suo “principe non vagamente
azzurro”, ma con un nome vero, che non
tornerà più, ennesimo “eroe” che parte per aiutare gli altri a rendersi liberi.
“Vinta”
dalla vita è Eliana, che inutilmente cerca di uscire dalla propria condizione,
e solo come “giacinto bianco, rinato ai bordi di un’aiuola per effetto di un
amore immenso”, riesce a proseguire il
proprio percorso, vivendo di preghiera e “reprimendo la rabbia per una vita
ingrata”, come monaca di clausura.
Il riscatto, dunque, può passare solo attraverso la cultura, quella vera, quella che rende liberi, e che Nives tenta di impartire ai ragazzi di campagna che educa, cercando di sottrarli alle “lusinghe materiali”, non sempre con successo. Impossibile non sottolineare quanti ragazzi ancora oggi, sia pure in condizioni diverse da quelli descritti, non si impegnano nello studio, considerandolo inutile e faticoso, sedotti da facili e più immediati mezzi di guadagno.