Al centro del gruppo, l'insegnante Carmen Castiello |
di Maria Ricca
Incontriamo
Carmen Castiello pochi istanti prima che si alzi il sipario al Massimo, per il saggio accademico conclusivo della sua
scuola di danza. Ventidue anni al
vertice della suo Centro Studi, ma è come se fosse sempre il primo giorno per
lei, che, emozionata, è indaffaratissima dietro le quinte a dare le ultime indicazioni
alle sue allieve. In tutto, ogni stagione, sono almeno centocinquanta le
danzatrici che frequentano i suoi corsi, alternandosi poi nelle coreografie da
lei studiate, in un percorso che si
snoda attraverso i lunghi mesi invernali e la primavera per ottenere poi, all’inizio
dell’estate, la sua consacrazione in un vero e proprio spettacolo.
-Quali sono le
novità di questa fine d'anno accademico?
“Innanzitutto il
passo d’addio di ben nove allieve, che lasciano la Scuola dopo anni di studio.
Sono Andreina Bove, Giulia Civetta, Francesca de Carlo, Alessandra De
Gennaro, Francesca Delli
Veneri, Cristina Francesca, Cristina Ricciardi, Maria Chiara Tedesco, Linda
Zollo.
Poi l’articolazione del lo spettacolo su un
percorso molto interessante. La prima parte, infatti, è stata dedicata a Rodhin
e Claudel, due scultori di inizio secolo, per esplorare il rapporto che esiste fra creazione
della materia che prende forma e corpo che prende forma secondo la danza. Quindi, spazio a balletti di repertorio
classico, in cui le alunne hanno modo di evidenziare i punti più alti di virtuosisismo che hanno conquistato, con l’esecuzione di “passi a due” tratti dal “Lago
dei cigni”, quello del cigno bianco e del cigno nero, poi “pas de deux” su musiche di Tschaikovsky, don Chisciotte , Esmeralda. Ospite Giuseppe Schiavone del
Teatro dell’Opera e Francesco Panebianco,
dell’Accademia nazionale di danza di Roma. Chiuderemo con una coreografia su
musica di Keith Jarret e coreografie di
Alvin Ailey, che usava la gestualità, soprattutto delle braccia, come una forma
di preghiera liberatoria dalla schiavitù di uomini e donne di colore, parlando
per primo, attraverso il ballo, di un vero e proprio disagio sociale.
-Quindi la danza
come forma di comunicazione culturale?
“Infatti. L’obiettivo della mia scuola, a parte lavorare
per il saggio finale, resta sempre la voglia di far cultura , per far
comprendere ai ragazzi che la danza ha una sua collocazione storica , è una
precisa forma di arte, così come lo è stata
la pittura, la letteratura. Purtroppo, però, nei libri non si parla di danza, che pure ha
compiuto lo stesso percorso che hanno
fatto le altre arti, anche se, non si sa perché, è sempre stata considerata
secondaria. E invece la danza è forma educativa molto alta, perché educare il
corpo è educare un’anima, aiuta nella
crescita, nella disciplina.”
-Da cosa dipende
questa disattenzione?
“Io credo che il
problema grosso sia determinato dalla Tv, che non fa che propinarci sempre cose
che di cultura non sono e di conseguenza si tende ad identificare la danza solo
come puro intrattenimento, non come qualcosa che riguarda l’interiorità, come
tutte le altre arti. Il mio obiettivo è, quindi, proporre la danza da questo punto di vista. Ma
oggi è impresa molto difficile, perché molti giovani sono abituati ad ottenere tutto subito, non con
la fatica. Però, per fortuna, riesco ancora a farmi comprendere.
-Che opportunità
future vi sono per gli allievi della tua Scuola?
“Interessanti
opportunità, perché, in chiusura di ogni anno arrivano professionisti del
settore, ospiti nei nostri saggi, e non di rado hanno individuato fra i miei
alunni alcuni più validi, che hanno poi avviato al professionismo, oltre le
mura cittadine. E, inoltre, comunque,
come Scuola, lavoriamo sempre tantissimo in tutte le produzioni della città,
allo scopo di fare “danza colta”.
-Progetti nell’immediato?
“A settembre
realizzeremo la quarta edizione del Festival di Danza”, con l’obiettivo di
formare i giovani nella tecnica, ma anche di proporre a loro e agli
appassionati l’incontro, nei convegni che promuoveremo, con professionisti del
settore,che producono appunto la cultura della danza. Un’opportunità di cui
hanno potuto usufruire finora solo ragazzi che abitano nelle grandi città e
così, invece, proviamo ad offrire anche ai beneventani.