Ciro Cascina, Marialaura Simeone, Michelangelo Fetto |
Al "Mulino del Cinema" l'amaro documentario del regista D'Amelio, presentato a Berlino
di Maria Ricca
Il dramma della diversità. La
sofferenza della diversità.
Il dolore di sentirsi
drammaticamente lontani dalla comunità dei “normali”, contro ogni “comune senso
del pudore” per l’unico desiderio di essere finalmente se stessi, senza
infingimenti. Nella migliore delle ipotesi si invoca il “vizio”.
Ancora un tema molto forte per il
nuovo appuntamento della rassegna il “Mulino del Cinema”, in programma al
Mulino Pacifico, curato dalla direzione artistica di Marialaura Simeone.
E' stato quello con “Felice chi è diverso”, documentario del regista Gianni Amelio,
presentato nella sezione “Panorama Dokumente” della 64a Berlinale, e prodotto in collaborazione con Rai Cinema e
Rai Trade.
Dall’omonima poesia di Sandro Penna, il documentario del regista, che
solo recentemente ha fatto anch’egli “outing”,
racconta come l'omosessualità è stata vista in Italia e dai media italiani
durante il secolo Novecento. A partire dalla testimonianza dolorosa di
una madre, che si accorge della “diversità” del figlio in tenerissima età e ne
fa una malattia, per se stessa, più che per il ragazzo. E poi quelle
altrettanto drammatiche dei gay ormai non più giovanissimi, che ricordano le
umiliazioni profonde subite dapprima in famiglia, con punizioni assurde per
“redimerli”, oppure il costringerli in ruoli di “guardiani” di case
d’appuntamenti, di “spassatiempo” per clienti danarosi.
Fino ai “ragazzi di vita” di certa
Roma “perduta”, a dimostrare come il degrado, il più delle volte, derivi, ovviamente, dall’odio, dall’incomprensione,
dall’omofobia, che spinse allora (come oggi!), sulla strada, giovani condizionati dal rifiuto, dal pregiudizio.
Il tutto condito da
testimonianze illustri, da Paolo Poli a Ninetto Davoli, da improponibili sketch
Tv della Rai anni Cinquanta, che volevano essere divertenti, fino ad opere cinematografiche anche d’Autore e
che però “giocavano” sull’argomento.
Senza il timore di utilizzare le parole,
anche quelle più impronunciabili, che popolarmente hanno definito negli anni gli omossessuali e che però ben
restituiscono la considerazione che si aveva di una condizione vissuta come
“malata” e “risibile”, lasciando in chi
guarda una profonda amarezza.
Fino alla testimonianza serena e
consapevole di chi, in qualche modo ce l’ha fatta, grazie, sicuramente, alla
propria formazione personale, all’ambito sociale culturalmente evoluto in cui è
nato e vissuto.
In sala, prima del
documentario e alla fine, a dare la propria testimonianza, l’attore Ciro Cascina,
che ha raccontato la propria esperienza con sapienza e leggerezza ineffabili,
ma non senza la consapevolezza dolorosa che molta strada c’è ancora da fare,
perché finalmente ciascuno possa vivere la propria vita affettiva
con serenità e liberamente, com’è nel diritto di ogni essere umano.
Toccante
l’intervento in apertura del rappresentante del collettivo W.A.N.D., che ha
raccontato la difficoltà di poter fare “outing” in una città di provincia.
Difficile ma, per fortuna, finalmente, non impossibile.