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13/04/14

BENEVENTO - "Medaglia d'Oro", oltre i libri di storia, la lacerante verità della testimonianza

Antonio Intorcia e Michelangelo Fetto ricordano i bombardamenti della città, in una ricostruzione attenta che illumina e commuove 


di Maria Ricca

Qual è il confine tra realtà ed interpretazione? Come si fa ad oggettivare un dramma? Non si può, e allora lo si vive, fino in fondo, attingendo alla propria sapienza scenica, al mestiere, certo, ma soprattutto ad una rarissima sensibilità. Quella che ti fa intuire i sentimenti, le lacerazioni interiori di chi quel periodo lì lo ha vissuto sulla propria pelle, giorno dopo giorno, anche se sei nato più di vent’anni dopo,  e te lo fa restituire intatto ad una platea attenta, silenziosa, commossa.
Magistrale, davvero,  l’interpretazione di Antonio Intorcia e Michelangelo Fetto, che, in due sere di primavera, hanno raccontato al pubblico del Mulino Pacifico, in “Medaglia d’Oro”,  per “Obiettivo T”, l’offesa più grande, inflitta alla città, devastata, violata, atterrita dai bombardamenti angloamericani del ’43 e dalle incursioni dei tedeschi.
Una narrazione che è costata evidentemente mesi di lavoro intenso su testimonianze, ricordi, letture,  resi in scena a metà tra lo studio filologico, rappresentato dalla scrivania a cui i due attori si siedono, raccogliendo elementi da Internet, libri polverosi e giornali d’epoca,  e vita vissuta, con l’emergere via via, dal buio, delle figure testimoni degli eventi. 
Alla consegna della “Medaglia d’Oro” alla città, il 15 giugno 1967, da parte del presidente Giuseppe Saragat assistono uomini diversi, per natura e cultura.
E’ lo spunto che dà la stura ai ricordi, in una narrazione che procede evocativamente, per suggestioni, senza tradire la linearità degli eventi storici. E diventa insopportabile per chi ascolta, scoprire come la propria gente sia stata oltraggiata nella maniera più nefasta dalla guerra. Quella esaltata da Giuseppe Verdi  e persino da Francesco De Gregori, in “Generale”.
“Credere, obbedire, combattere…”. Sì, vabbè… Oltre le ideologie resta potente il ruggire devastante delle bombe, che fischiano, orribile la visione delle membra del corpo, proprie ed altrui,  che saltano ovunque, e poi la terra in bocca, la calce negli occhi, lo sconvolgimento infinito ed eterno dei sopravvissuti, morti per sempre, anche loro, dentro. Resta la città che, fotografata dall’alto,  sembra la luna, piena di crateri. E l’uomo che cerca il fratello, disperatamente, e lo trova sì, ma dilaniato dalle bombe, cadute presso la Ferrovia, e nei suoi occhi e nella sua espressione lo sgomento inestinguibile,   segnato dalla disperazione.
E, poi,  lo sciacallaggio o semplicemente la necessità di approfittare della situazione da parte di chi è vivo e ruba quel che può, quel che trova, dai cadaveri o dalle case devastate, così come la rabbia per l’ “armistizio”  di Badoglio, e gli equivoci tragici che quello produsse, mentre chi l’aveva firmato era da tempo al sicuro.
C’è il tempo, infine, dopo quelle ascoltate solo via audio,  per la drammatica testimonianza filmata della sorella di Tonina Ferrelli, che racconta come la ragazzina perì nell’esplosione di una bomba,  che la decapitò in casa sua, e a cui la città ha dedicato una strada.
L’ultima, innocente vittima, di una battaglia insensata, in cui Benevento si trovò flagellata e perse tutto in quel maledetto 1943. Non la dignità, però. Fra gli spettatori in sala, molti di coloro che c'erano davvero, allora, come l'ex Sindaco e Preside Antonio Pietrantonio, che ha ricordato come furono presto rimosse le macerie di quei bombardamenti. Voglia di archiviare il dramma? Chissà...
Ma valsero quei cinque grammi di “Medaglia d’oro” la morte di 2000 persone? Non resta che un’unica domanda, quindi:  “Perché?”. E la voglia di ringraziare Antonio Intorcia e Michelangelo Fetto per la loro interpretazione così commossa ed intensa, che val più di mille pagine polverose e di documentari articolati da dare in pasto a studenti annoiati ed inconsapevoli.

Questa è vita, non è letteratura. E tanto basta.