Niko Mucci e Roberto Cardone |
di Maria Ricca
Due personaggi che l’autore non lo cercano. Perché sono gli autori di se stessi e delle proprie reazioni irrazionali. Che saranno pure sopra le righe, ma perfettamente in linea con quella disperazione e disillusione che ti prendono, quando sai che non c’è più nulla da perdere, ma tutto da conquistare, se hai il coraggio di combattere. Sono “Sigmund e Carlo”, ovvero Freud e Marx, sopravvissuti a se stessi, in un’ora e poco più di dialoghi serrati, protagonisti dello spettacolo, scritto ed interpretato da Niko Mucci, con Roberto Cardone, ...”en travesti”, che si presentano, si confrontano, litigano e si sostengono l’un l’altro, discettando sui temi più scabrosi e dolenti. L’allestimento, in cartellone quest’ultimo finesettimana, per la rassegna “Magnifico Teatro” del “Magnifico Visbaal”, proseguirà il suo cammino al “Fringe Festival” di Roma.
Davanti ad una scuola femminile, Sigmund e Freud, presunti esibizionisti, temono che la polizia li scopra e, allora, si mascherano di volta in volta in pagliacci da circo, bambini, intellettuali. E così i due “si ripiegano” su se stessi. L’uno nella sua dimensione piccolo borghese, l’altro nella sua lotta al capitalismo, ognuno “monade perfetta” nell’incomunicabilità con l’altro e con gli altri, seppur uniti nella comune decisione finale, quella di mettere un punto, la parola “fine” a tutto ciò che nel mondo non va, non si comprende, non deve esistere. Una “folìe a deux”, che nasconde ben altro che una semplice voglia di scandalizzare e piuttosto si concretizza in quella di voler cambiare il mondo, ciascuno a suo modo. Anche se l’epilogo sarà tragico.
La dedica finale è a Gabriel Garçia Marquez, “la fantasia al potere” naturalmente, in omaggio al grande scrittore colombiano.
Uno spettacolo godibile, estremamente ritmato, ove i due attori caratterizzano perfettamente i propri strampalati personaggi, a cui Mucci dà maggiore consapevolezza e sicurezza, Cardone volutamente più rigidità ed esasperazione. Un’opera, certo, fruibile soprattutto da un pubblico “avvertito” e colto, tratta dal testo di un autore sudamericano, e riscritta dal regista Niko Mucci, che, dopo le due sere di spettacolo, ha ingaggiato una piacevolissima “tenzone” verbale con gli spettatori, raccontando i perché della sua scelta e rispondendo alle domande, forte della sua esperienza autorale e della sua formazione culturale, ma anche didattica, visto che oltre a svolgere la professione di attore, regista, scrittore, musicista, dirige ben tre laboratori di recitazione.
Ne è venuto fuori un discorso più ampio, sulle sorti del teatro, che “è materia viva, sempre “in fieri” – hanno detto gli interpreti - e la sua utilità educativa, sul ruolo dell’attore, “non artista”, ma puro “artigiano”, sulla necessità di dare ai giovani delle risposte, di educarli al bello, ad apprezzare le opere teatrali a tutto tondo, non solo lo “spettacolo”, affascinandoli con il potere della “narrazione”, secondo lo schema del teatro delle origini, e delle idee. Su tutto il concetto di “responsabilità collettiva”, che ciascuno ha, “in percentuale differente, a seconda della sua posizione nella società, ma di cui nessuno è privo.”