di Maria Ricca
BENEVENTO - La notizia che non avresti mai voluto
ricevere...Antonio Sorgente, in arte “Don Saverio” non è più.
Così dicono nei necrologi ufficiali. In quelli che contano. Lui
avrebbe sorriso, avrebbe scrollato le spalle, avrebbe detto “Salute
a noi!”. Sì, perché le persone come Antonio Sorgente, che hanno
la capacità di raccontare la storia di un popolo dalla parte del
popolo, con garbo ed ironia, denunciando i vizi e le magagne delle
amministrazioni che si sono succedute al vertice delle istituzioni,
non muoiono mai. Non se lo possono permettere. E non è retorica, è
verità.
Perché sono espressione di un
patrimonio letterario, di cultura e tradizione scritta, televisiva,
orale, che non può, che non deve andare perduto. E va coltivato e
custodito in ogni modo. In attesa che un erede ne raccolga il
testimone.
Aveva cominciato giovanissimo Antonio
Sorgente, com'è noto, nei teatri di quartiere, poi come interprete
comico nell'Orchestra tipica Hula Hula del M° Italo Cammarota, aveva
conosciuto Eduardo, in un “Natale in casa Cupiello”, che inaugurò
il teatro Massimo di Benevento non so più quanti anni fa...
E poi, docente di Francese nella vita professionale, attore e cultore delle tradizioni nel cuore, aveva avuto l'ambizione e le
qualità per narrare le vicende della sua città nelle edizioni ormai
esaurite della sua “Storia di Benevento, scritta da don Saverio 'u
sturione”, appunto, il Pasquino sannita che non faceva sconti a
nessuno, dedicando, nel frattempo, i suoi versi “sfiziosi” alle
figure e alle situazioni tipiche di una comunità che conosceva ed
amava nelle sue pieghe più intime e nascoste, cogliendo il lato
ironico di ogni situazione. E recuperando e ritrovando ogni volta il
dialetto vero e verace della città, con espressioni tipiche ed
emotivamente coinvolgenti della lingua che fu, perdutasi negli anni,
ma non nei cuori.
L'approdo alla Tv, nei primi anni
Ottanta, fu naturale. Le emittenti locali ne accolsero il brio e
l'ironia, dando spazio ai “Quiz, friz e laz” di programmi
registrati così, in presa diretta, per conservarne la spontaneità.
Accanto a lui i testimoni di un'epoca,
gli amici di una vita, Gino La Polla, Raffaele Russo, Ninì Pagliuca, professionisti impeccabili, nei vari ruoli di co-presentatore e musicisti, il fratello Silvio Sorgente, valido sassofonista, e, infine,
l'indimenticabile, garbato don Peppino Fallarino, la voce sottile e
suggestiva di Pino D'Arienzo e la conduzione di chi scrive, che nei
primi anni Novanta muoveva i primi passi nel mondo del giornalismo e
rimaneva ammirata da tanto rigore e professionalità nel confezionare
ogni volta un programma sempre diverso, ma sempre uguale a se stesso,
per tradizione e convenzione.
Il capolavoro finale di Antonio
Sorgente restava quel “tour de force” settimanale, 120 versi in
puro vernacolo beneventano, scritti tutti di seguito, rigorosamente su un'antica Olivetti, mai al computer, e recitati tutti
d'un fiato, l'”invettiva” di Don Saverio contro le storture
istituzionali, diversa ogni volta ed ogni volta introdotta dalle
note di “Palummella, zomp' 'e vvol...!”, canto dei ribelli contro
l'oppressore, che nella sua versione diventava “Don Saverio...mo'
c''e ccant' a chilli là!”, ovvero i “potenti”, che del
popolino poco avevano cura. Il “comitato” autore delle proteste
che poi spediva idealmente, in lettera, all'emittente televisiva che
di volta in volta raccoglieva il suo sfogo (negli anni Canale 55,
Teleluna, Cds Tv, Elletv), si ritrovava, da ottobre a maggio, nei
“ciardinetti” sotto Palazzo Mosti, sede del “Comuno”, con
“Don Pascale 'u pallista”, “Cuncetta la volgara”, “don
Peppe il vecchio” e “Don Saverio, me medesimo, 'u sturione,
bidello di scuola...”.
Si andava in onda fino a maggio, quando il caldo dei riflettori si faceva troppo intenso e allora bisognava aspettare la “rinfrescata”, per continuare. "Vi lasco e vi saluto...", diceva. La promessa era di ritrovarsi, poi, tutti a fine ottobre, ogni anno, per riprendere il cammino. .”Prufesso' – gli dicevo – quann' ce vedimm' mo' ?” Eh, Marì... mo' ce vedimm' p''u Corso.” Il suo quartier generale.
Si andava in onda fino a maggio, quando il caldo dei riflettori si faceva troppo intenso e allora bisognava aspettare la “rinfrescata”, per continuare. "Vi lasco e vi saluto...", diceva. La promessa era di ritrovarsi, poi, tutti a fine ottobre, ogni anno, per riprendere il cammino. .”Prufesso' – gli dicevo – quann' ce vedimm' mo' ?” Eh, Marì... mo' ce vedimm' p''u Corso.” Il suo quartier generale.
Ciao, don Saverio. Ciao, Maestro.