Rosaria De Cicco e Marianita Carfora |
di Maria Ricca
TEATRO - Fu nel 1882 che Francesco Mastriani, scrittore napoletano,
amante del noir, volle portare in scena la versione partenopea dell’immortale tragedia
di Euripide. E scrisse “La Medea di Porta Medina”, presentata all’Orto
Botanico di Napoli, per la rassegna “Brividi d’Estate”, con la regia e la drammaturgia di Annamaria Russo, appuntamento molto
atteso dagli appassionati, promosso da "Il Pozzo e il Pendolo" che unisce opere di qualità ad ambientazioni
suggestive.
Marianita Carfora dà volto e voce alla passionalità infelice
di Coletta Esposito, figlia della Madonna, ospite della Casa dell’Annunziata,
come tutte le bimbe lasciate nella ruota da madri che non volevano o potevano prendersi
cura di loro. Con la caparbietà che le è propria la giovane sfugge al matrimonio combinato
per lei che, in qualità di orfana, era costretta a subire, poiché scelta da un
pretendente ricco, ma deforme, onde evitare il Serraglio, ovvero l’Albergo dei
Poveri, carcere duro più che casa d’accoglienza. E’ Cesarina, nobildonna, sua vera madre, mai rivelatasi, che
le consente di ritrovare la propria indipendenza, divenendo sua benefattrice per voto alla Madonna e regalandole la dote che l’incauta e passionale Coletta offre al giovane ed amato Cipriano. Lui le promette mari e monti e suggella il loro amore con il frutto tangibile di una piccola
anima di Dio, nata dalla loro unione.
Ed è bella come la Vergine Maria Coletta Esposito, con la sua bimba in braccio e col velo da sposa, ma il suo cuore si farà duro come la pietra, quando Cipriano non manterrà le sue promesse d'amore. Schietto l’eloquio con il quale la giovane si opporrà, a suo modo, al destino infame che non intenderà restituire a lei, figlia di nessuno, quello che le ha tolto.
Cipriano la tradirà, dunque, per sposare Teresina, ragazza di buona
famiglia, e Coletta non esiterà: il velo da sposa diventerà il cappio al collo
della sua piccola, che finirà strozzata per mano di sua madre e verrà offerta poi come
dono di nozze agli increduli sposi. Sarà la sua ignobile rivincita ed il suo
modo per evitare alla figlia il triste destino che è stato il suo. Dio
stavolta, dice Coletta, non potrà girarsi dall’altra parte, no, ma dovrà guardarla
negli occhi, prima di precipitarla nel fuoco dell'inferno più nero, com'è
giusto che sia per una donna macchiatasi del più turpe dei crimini:
uccidere il frutto del ventre suo.
Non resterà che il giudizio implacabile ed il patibolo per lei, dunque, a
cui la giovane giungerà, accogliendolo come fatalmente inevitabile.
Interessante la scelta registica di far muovere gli attori
in circolo, in un crescendo serrato, sulle tavole di un palcoscenico tondo,
diviso in raggi, a simboleggiare la Ruota degli Esposti, ma anche il volgersi e
rivolgersi delle circostanze della vita, a volte favorevoli, più spesso
infelicemente determinanti.
Un'interpretazione struggente ed intensa, quella di Marianita Carfora, indomita Coletta, abile a sfuggire ad ogni insidia ed ostacolo si frapponga tra lei e la libertà di autodeterminarsi, tranne che ai lacci della passione, che la incateneranno e la condanneranno per sempre.
Intensa e sensibile
l'interpretazione di Rosaria De Cicco, ancora una volta in un ruolo drammatico,
quello della nobildonna Cesarina che della giovane Coletta, ignara che si
tratti della sua vera madre, si farà mèntore,
tentando di guidarla nel suo percorso, ma fallendo miseramente.
Su tutto il senso dell'ineluttabilità del destino, dell'impossibilità di cambiare le regole di una vita nata amara e amara finita, nella quale non sembra esserci possibilità di riscatto, ma solo obbligo di subire il giudizio . Bravi tutti gli altri attori, Sonia De Rosa, Gennaro Monti, Andrea De Rosa, Marco Palumbo, Alfredo Mundo, Adriana D’Agostino, Michele Costantino, Rita Ingegno, Riccardo Maio, Elena Carbone, anche nelle caratterizzazioni specifiche, sottolineate da musica e canti popolari, che evocano un mondo tradizionale di proverbi, cantilene, frasi fatte, pregiudizi e percorsi obbligati, a cui opporsi non si può.