PARLIAMO DI...


10/03/25

CAPUA, FaziOpen Theater - Il regista Antonio Iavazzo rilegge Beckett, con sguardo ironico, amaro ed appassionato sull'esistenza

 


di Maria Ricca

TEATRO - "Tutto chiede salvezza". Le parole di Daniele Mencarelli, Premio Strega Giovani nel 2020 salgono in mente con viva immediatezza nel seguire la stilizzata animazione dell' "Atto senza parole" di Samuel Beckett, riletto e reinterpretato dal regista ed autore Antonio Iavazzo per la rassegna "FaziOpen Theater" di Capua, di cui è direttore artistico, giunta al suo tredicesimo appuntamento. 

Non servono parole per esprimere amarezza e disagio alle due "monadi" in scena, gli interpreti Gianni Arciprete e Gennaro Marino, naturalmente diverse ed isolate tra loro, che si affannano a sostenere il peso della vita. Emergono entrambi, inevitabilmente costretti a farlo,  dal "guscio" che li protegge, come l'utero materno, vivendo le proprie esistenze in un continuo combattimento con l'urgenza della vita, rappresentando ciascuno un modo diverso di rapportarsi al "visibile". 


I due attori lavorano con sapiente maestrìa alla caratterizzazione dei personaggi, agendo "per sottrazione" , ha sottolineato il regista Iavazzo in apertura di pièce, per evidenziare l'uno il faticoso percorso verso l'adattarsi al mondo reale, l'altro l'altrettanto faticoso stare al passo di tutto, senza perdere colpi. Due modi di affrontare il difficile percorso della vita, in una tragica simmetria, tipico stilema della drammaturgia dell' "assurdo"  di Beckett (con il solito albero solitario a rappresentare il nudo mondo là fuori) che Antonio Iavazzo sceglie di reinterpretare in maniera ancora più spartana per far emergere significativamente emozioni e contraddizioni. 


E così, se il primo individuo fatica a trovare la propria dimensione, nella simbolica lotta per l'indossare quei vestiti che rappresentano l'incontro con la dimensione della realtà e gli sfuggono continuamente di dosso, il secondo crede di trovare nella sua "chirurgica" attenzione al dettaglio, alla precisione degli atteggiamenti, la chiave per gestire l'esistenza. Sono due archetipi, come è evidente, due immagini forti di altrettanti disperati atteggiamenti nei confronti del mondo. Inevitabile ed umana, appunto,  la ricerca di un punto di riferimento che guidi ciascuno di loro fuori dal tunnel. Che sia il "rosario" dell'uno o l' "orologio" da taschino dell'altro poco importa. Bisogna pur credere in qualcosa per andare avanti...Anche se il punto d'approdo della fatica del vivere e dell'adattamento al vivere, sarà poi il medesimo per tutti: rientrare nel "sacco" uterino da cui si è usciti, divenuto inevitabilmente  "sepolcro" . Basta, quindi, il "suono" del cadere di una goccia, in sottofondo, per raccontare il reiterarsi delle azioni del quotidiano e l'esplosione musicale per sottolineare l'epilogo felice (?!) di ogni passo compiuto, verso l'iconico finale.


In chiusura della tre giorni di performance molto interessante il dibattito attori-regista-pubblico, in cui ciascuno degli spettatori ha potuto offrire la propria chiave interpretativa dell'opera, dalla riflessione amara sui temi della vita, quasi volta ad un senso di depressione, al semplice, nudo sorriso "naif", ironico ed autoironico sulla condizione umana. 
Un proficuo confronto di idee, naturalmente utile alla  crescita reciproca, caratteristica questa costante del percorso del FaziOpen Theater.