MUSICA E CULTURA - Tutto lo struggimento nel lasciare la propria terra per un futuro migliore, solo ipotizzato, ma ancora tutto da conquistare, attraverso sacrifici immensi, primo fra tutti quello di sopportare il disagio della diffidenza altrui, che si trasforma immediatamente in razzismo nei confronti dell'immigrato, speranzoso di costruirsi un avvenire migliore altrove. E poi, il lento adattarsi al nuovo corso, con la costruzione del "broccolino", il pidgin adottato istintivamente dagli italo-americani per comunicare fra loro e con i nativi del posto, mescolanza improbabile, ma efficace, di parole di entrambi di idiomi, l'italiano e l'inglese.
Tutto questo raccontato attraverso le canzoni, in "E io lasso 'a casa mia", piacevolissimo collage di elementi storico-musicali, diventato un interessante percorso artistico, realizzato con passione da Gennaro Del Piano, musicista e studioso, promotore e curatore di eventi artistici e culturali, canto e voce recitante, e da lui interpretato, con la spalla forte dei sopraffini musicisti Francesco Natale (chitarra e banjo), Sergio Prozzo (mandolino e mandola) e Peppe Timbro (contrabbasso) e della splendida voce, lirica e recitante, di Valentina Clemente.
Presente il Sindaco Salvatore Mazzone, che ha accolto da subito con favore l'iniziativa: "La nostra comunità è particolarmente sensibile al tema dell'immigrazione, qui molto sentito, anche perché lo stesso Grazio Forgione, padre di Padre Pio, fu emigrante a sua volta, come tanti abitanti di allora e del Sud in generale".
Ad introdurre la serata, molto partecipata, è stata proprio l'assessore Masone, che ha illustrato i temi dello spettacolo e il suo importante significato artistico e culturale.
Gli interpreti hanno scelto di rappresentare gli eventi anche visivamente, di far rivivere le atmosfere degli anni della prima "grande immigrazione" italiana verso gli Stati Uniti, in tutta la loro amarezza e tragicità, indossando inizialmente coppole e suonando mandolini, e lasciando poi a pagliette, papillon e banjo il compito di sottolineare iconicamente lo spirito vivace di adattamento ad usi e costumi del luogo.
Le note dunque si sono colorate dal drammatico "Meglio 'nu juorno cca napulitano ca tutta 'a vita principe luntano", con il lasciare gli affetti familiari, mai più ritrovati, all'irridente e fatalistico ambientarsi, diviso fra l' andare avanti a lavorare senza pensare e il lasciarsi trasportare dalle bellezze del luogo e da qualche divertimento alcolico di troppo, sfociato poi in allegra "macchietta" finale, per il familiarizzare di uomini e donne con le bellezze locali. E così la sofferenza iniziale si è stemperata nel progressivo, inarrestabile conformarsi al nuovo corso, per integrarsi nel Nuovo Mondo e farsi piacere la "jobba" (il lavoro), conoscere ed apprezzare le "ghelle" (le ragazze) del posto, che però amano troppo le "pezze" (i soldi).
Lungo il lavoro di ricerca dei brani musicali dell'epoca, condotto da Del Piano, con una progressiva cernita delle canzoni, che hanno portato al riarrangiamento delle melodie della tradizione musicale napoletana, unite ad un brano di origine anglosassone, riscritto in dialetto.
Applausi meritatissimi, infine, e grande coinvolgimento del pubblico in sala, trasportato dalle musiche e dalle interpretazioni.