PARLIAMO DI...


27/10/25

CAPUA - Il travolgente "Assolo" di Jury Monaco strega il "FaziOpen Theater" ed apre la rassegna diretta da Antonio Iavazzo

Jury Monaco 

di Maria Ricca

Cosa induce un pubblico profondamente disincantato ed il più delle volte completamente anestetizzato  da anni di trash TV a concedere applausi spontanei e sinceri all'artista brillante che coraggiosamente si propone alla ribalta in un ironico one man show? 

È più che evidente che oggi sia un esercizio di fine analisi psicologica costruire uno spettacolo comico che strappi risate e commenti divertiti, individuando i punti deboli degli astanti e costringendoli a fare i conti con le proprie debolezze e fragilità, rispecchiate nelle sequenze comiche portate in scena, in un processo di identificazione che è il "grimaldello" per entrare nell'animo anche dello spettatore più coriaceo. Che ci sia uno studio profondo alla base ed astute tecniche di "seduzione" artistica, affinate da più di trent'anni di esperienza (chiamasi "talento"!), è più che evidente in tutte le performances dell'interprete Jury Monaco, che ha aperto con "Assolo per solista solitario" la stagione 2025-2026 della rassegna di arti performative "FaziOpenTheater" , diretta dall'attore e regista Antonio Iavazzo, organizzazione generale di Gianni Arciprete.  "Siamo ancora qui, nulla è mai scontato - ha sottolineato il direttore artistico Iavazzo, in apertura di serata e di stagione - con la consapevolezza di una crescita costante, in completa autonomia economica, sia pure con il patrocinio morale del Comune di Capua, ma con la stima e la vicinanza degli artisti ed un lavoro certosino." Ed Arciprete: "Il sogno continua. Ed è sempre emozione."

E quindi, poi,  in un irresistibile e frenetico avvicendarsi dei personaggi portati in scena, nei 6 lustri e più di carriera, Yuri Monaco ha vestito dapprima i panni di Dioniso-Bacco, dio del teatro, ubriaco di vino e di risate, per poi calarsi di volta in volta nei panni dello shakespeariano Otello, del giapponese Aitàn ("Teatro del No"), dell'attore, che riceve inaspettatamente un Oscar e ringrazia l'Academy in un irresistibile anglo-napoletano, passando per i ricordi familiari (mamma apprensiva per lui, giovane scavezzacollo e innamorato del teatro) e quelli di una vita in scena. Citando i sacrifici fatti per affermarsi, rischiando spesso in prima persona anche la propria incolumità fisica, recitando in contesti...poco ortodossi o accettando di insegnare teatro a bambini terribili ed esigenti. In mezzo travolgenti esibizioni vocali,  dal classico "New York, New York"  a canzoni nell'irresistibile romanesco di Sordi, Rascel e naturalmente Manfredi, in "Tanto pe' cantà!", interpretata a squarciagola. Il tutto condito dalla capacità di utilizzare, nel recitato e nelle canzoni, proverbi, espressioni tipiche e citazioni vernacolari, valse a coinvolgere il pubblico e a tenere il ritmo sostenuto. Tra Fregoli e il cabaret,  echi da Proietti e Dario Fo, Yuri Monaco ha sapientemente reinterpretato le proprie colte suggestioni, sapendo attingere dai grandi maestri per poi far proprio quanto appreso, rendendolo di nuovo originale . Fino ad approdare all'intensa chiusura, affidata alle parole di Charlie Chaplin e alla maschera dell'attore, che ben cela dolori ed emozioni, per restituire al pubblico una verità dalle mille sfaccettature.


Molto interessante, come sempre, il consueto spazio dopo-spettacolo, nel quale, attraverso le domande degli spettatori, Monaco ha potuto delineate il proprio percorso attoriale e richiamare l'attenzione, lui che è anche docente di Teatro, sulle difficoltà delle nuove generazioni che pure si accostano alle tavole del palcoscenico, ma spesso rifiutano sacrifici, ingenuamente pensando di poter arrivare al successo senza passare per la gavetta, magari aspirando alle sirene della stand up comedy di origine statunitense, che spesso cerca di conquistare il pubblico con banali mottetti ed inutili "male parole ". 

Ascoltarlo, per chi scrive, è stato un tornare alle origini e riscoprire per quale motivo tanti anni fa, ormai, si è deciso di scegliere di raccontare lo spettacolo, dopo averne sperimentato le emozioni in prima persona. Ed è stato 
 ritrovare in quelle riflessioni, in quegli slanci, l'infinito confrontarsi alla ricerca dello spunto necessario ed accattivante per conquistare il pubblico,  consapevoli di non poter fare altro nella vita che seguire la propria vocazione. Ed è qui, forse, il senso di tutto.