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19/01/15

NAPOLI (S. Giorgio a Cr.) - La "Human Parade" di Antonio Iavazzo, fra realtà e gusto del paradosso, con colte suggestioni e moderne ispirazioni


di Maria Ricca

Il gusto del paradosso, dell’estremo, anche urlato, perché no, per raccontare la realtà con lo strumento dell’esasperazione gestuale e recitativa, della fortissima caratterizzazione. Sceglie ancora questo registro l’attore e regista Antonio Iavazzo, in scena al Centro Teatro Spazio di San Giorgio a Cremano, lo scorso fine settimana, con il suo “Human Parade”, n. 1, per raccontare i diversi aspetti di un’unica realtà, attraverso una parata di tipi umani che sembrano con la verità della cronaca avere poco a che fare, ma che, invece, proprio a quella sono ispirati. E si serve dell’arma dell’eccesso per stigmatizzare  vizi privati e pubbliche virtù, come si diceva una volta, di chi ci circonda. Ché,  si sa, la realtà supera la fantasia.
Sfilano così, via via, sul palcoscenico Giovanni Arciprete, Vincenzo Di Marco, Andrea Iacopino, Raffaele Iavazzo, Luigi Leone, Claudia Orsino e AngeloRotunno, interpreti delle diverse figure di questa “Human Parade” n. 1, sullo sfondo delle luci di Vittorio Errico e l’aiuto regia di Alessia Gambella, in collaborazione con l'Associazione "Il Colibrì" di Sant'Arpino (CE) e il Centro Musicale "Pro Arte" di Piedimonte Matese (CE).
La performance si apre con l’immagine ridicola ed amabile dell’impiegato, figlio di mammà, apparentemente irreprensibile ed invece maniaco nell’intimo, risultato evidente di un’educazione fin troppo “bene”, che l’ha reso schiavo delle convenzioni in pubblico e, dunque, libero solo nella più perversa delle intimità.
Quindi, in scena va il giovane e vispo narratore di battaglie,impegnato a raccontare un’ improbabile crociata, a metà fra la sapienza descrittiva di Piero (Alberto?) Angela e l’enfasi della recitazione incalzante, condita di mimica e gestualità speciali, che inducono comicità. Fino all’ironica ed amara riflessione: “La guerra non è altro che il passarsi di mano roba sempre più ammaccata”.
E’ un attimo e il palcoscenico è impegnato   dall’irresistibile “Sherlòck Barmàn”, acuto osservatore dei costumi altrui, come da mestiere, che sulle note dell’indimenticabile “Ahi, Maria!” di Rino Gaetano,  riesce a definire i tratti di una storia d’amore finita male, senza poter evitare, però, di finire male a sua a volta, travolto dagli eventi. Di certo la più riuscita e divertente delle caratterizzazioni proposte.
E infine, ecco comparire dal pubblico  l’innamorato devoto, con tuba e fascio di fiori per la sua bella, la cui proposta di matrimonio annega però nei battibecchi e nelle intemperanze. Sfondo la Russia ingessata di Cechov, divisa tra convenzioni sociali ed interessi terrieri ed economici,  fondamentali per l’epoca . Una recitazione volutamente e fortemente esasperata   quella degli attori, con tipizzazioni ed espressioni  tipicamente da “cartoon”, per raccontare le infelicità e le contraddizioni che attendono la vita coniugale. Un’unica immagine dolente, fra le grottesche messe in scena, quella “en travesti “di “Mamìna”, unita alle altre nel segno dell’eccesso, seppure diversissima,  per forma ed espressione, l’immagine di tutte le donne costrette alla “vita” e dunque ad annegare nell’alcool la propria disperazione per un mestiere così crudo , da condividere metaforicamente   con “Desiderio”, “Rogna”, “Cupidigia”, che la corteggiano e la servono, ma che al medesimo tempo la sfiniscono e ne fanno una maschera orribile ed infelicissima.
Molte le citazioni e le ispirazioni presenti nel testo, completamente rivisitate, però,  nell’atto creativo della messinscena, conferma, infine,   l’Autore Antonio Iavazzo  che, dopo questo  debutto,  porterà l’allestimento in giro nell’intera Campania ed oltre, nei vari cartelloni: “Fonte di ispirazione sono stati i testi di Calvino, visioni da Enzo Moscato, l’ironia amara di Stefano Benni e quella di  Cechov, vivacissima ed attuale, nonostante gli anni. Sono tutti personaggi tirati al massimo – conclude - davvero “border line”,  iperrealisti, isomma. Personalità estreme di epoche differenti, unite tra loro da un contesto di marginalizzazione.”