di Maria Ricca
Sfilano così, via via, sul palcoscenico
Giovanni Arciprete, Vincenzo Di Marco, Andrea Iacopino, Raffaele Iavazzo, Luigi
Leone, Claudia Orsino e AngeloRotunno, interpreti
delle diverse figure di
questa “Human Parade” n. 1, sullo sfondo delle luci di Vittorio Errico e l’aiuto
regia di Alessia Gambella, in collaborazione con l'Associazione "Il Colibrì" di Sant'Arpino (CE) e il Centro Musicale "Pro Arte" di Piedimonte Matese (CE).
La performance si apre con l’immagine
ridicola ed amabile dell’impiegato, figlio di mammà, apparentemente
irreprensibile ed invece maniaco nell’intimo, risultato evidente di un’educazione
fin troppo “bene”, che l’ha reso schiavo delle convenzioni in pubblico e,
dunque, libero solo nella più perversa delle intimità.
Quindi, in scena va il giovane e vispo narratore
di battaglie,impegnato a raccontare un’ improbabile crociata, a metà fra la
sapienza descrittiva di Piero (Alberto?) Angela e l’enfasi della recitazione
incalzante, condita di mimica e gestualità speciali, che inducono comicità. Fino
all’ironica ed amara riflessione: “La guerra non è altro che il passarsi di
mano roba sempre più ammaccata”.
E’ un attimo e il palcoscenico è
impegnato dall’irresistibile “Sherlòck Barmàn”, acuto
osservatore dei costumi altrui, come da mestiere, che sulle note dell’indimenticabile
“Ahi, Maria!” di Rino Gaetano, riesce a
definire i tratti di una storia d’amore finita male, senza poter evitare, però,
di finire male a sua a volta, travolto dagli eventi. Di certo la più riuscita e
divertente delle caratterizzazioni proposte.
E infine, ecco comparire dal pubblico l’innamorato devoto, con tuba e fascio di
fiori per la sua bella, la cui proposta di matrimonio annega però nei
battibecchi e nelle intemperanze. Sfondo la Russia ingessata di Cechov, divisa
tra convenzioni sociali ed interessi terrieri ed economici, fondamentali per l’epoca . Una recitazione
volutamente e fortemente esasperata quella
degli attori, con tipizzazioni ed espressioni tipicamente da “cartoon”, per raccontare le
infelicità e le contraddizioni che attendono la vita coniugale. Un’unica
immagine dolente, fra le grottesche messe in scena, quella “en travesti “di
“Mamìna”, unita alle altre nel segno dell’eccesso, seppure diversissima, per forma ed espressione, l’immagine di tutte
le donne costrette alla “vita” e dunque ad annegare nell’alcool la propria
disperazione per un mestiere così crudo , da condividere metaforicamente con
“Desiderio”, “Rogna”, “Cupidigia”, che la corteggiano e la servono, ma che al
medesimo tempo la sfiniscono e ne fanno una maschera orribile ed infelicissima.
Molte le
citazioni e le ispirazioni presenti nel testo, completamente rivisitate, però, nell’atto creativo della messinscena, conferma,
infine, l’Autore Antonio Iavazzo che, dopo questo debutto, porterà l’allestimento in giro nell’intera
Campania ed oltre, nei vari cartelloni: “Fonte di ispirazione sono stati i testi
di Calvino, visioni da Enzo Moscato, l’ironia amara di Stefano Benni e quella
di Cechov, vivacissima ed attuale,
nonostante gli anni. Sono tutti personaggi tirati al massimo – conclude -
davvero “border line”, iperrealisti, isomma.
Personalità estreme di epoche differenti, unite tra loro da un contesto di
marginalizzazione.”