PARLIAMO DI...


20/04/15

TEATRO - L’Odissea amara di Marirò, ammalata di “mobbing”, perché... “E’ bello lavorare”



La pièce, scritta da Vincenzo Russo e diretta in scena da Luciano Medusa, commuove ed appassiona

di Maria Ricca

“E’ ‘na guerra”,  ma, tutto sommato, … “E’ bello lavorare”.  Tre parole e poi altre tre, che si contrappongono le une alle altre, in perfetta simmetria lessicale, per raccontare la storia di Marirò, impiegata in un’azienda telefonica. Efficiente, attiva, entusiasta, in una parola “brava”. Troppo, per non suscitare invidie e per non diventare il bersaglio di chi aspira al ruolo che ella, con
senso di responsabilità e disciplina, ricopre, ma anche ai “privilegi”, ferie e festivi compresi, che le toccano di diritto. 
E’ l’inizio di una travagliatissima Odissea di ”mobbing”, narrata con dettagliata precisione da Vincenzo Russo, l’autore del libro da cui la pièce è tratta, “Che bello lavorare”, appunto, e che il regista Luciano Medusa ha scelto di raccontare in video ed in presenza, al Teatro “Scarpetta” di Casoria, nello scorso fine settimana, gremito in ogni ordine di posti. Parte del ricavato dalla vendita del volume, da cui è tratto il testo dello spettacolo, è stato destinato alla U.I.L.D.M. (Unione Italiana Lotta alla
Distrofia Muscolare) Sezione di Ottaviano, Presidente Maria Maddalena Prisco, presente in teatro.
 Il martirio di Marirò ha una data di inizio, a metà aprile 2004, quando cominciano le vessazioni dei “superiori” e dei colleghi, le pressioni perché lasci il suo incarico, e perché, “premiata” per la propria efficienza, torni ai turni del call center.
 “Promoveatur ut amoveatur”, si diceva una volta, ovvero si promuova qualcuno ad incarichi migliori per rimuoverlo dal proprio posto di lavoro.
Ed è così, anche per Marirò, che, naturalmente, a tornare alla gavetta, dopo
aver giustamente meritato qualifiche più elevate, non ci sta, non ci può stare.
Fidi scudieri, al suo fianco nella lotta per la difesa dei propri diritti, sono  Cosimo Alberti,  fratello della protagonista, ed il collega ed amico Edo (Pasquale Aprile), unico “temerario” a restarle vicino, incurante delle conseguenze.
 E’ stata Marilù Armani, una credibilissima, efficace, dolorosa,  ma combattiva Marirò, che lotta, di volta in volta con i colleghi-superiori, definiti “Caporal fotocopia”, “Caporal piccolo”, “Caporal orale” (donna di facili costumi), a seconda delle proprie mansioni ed…attitudini, all’interno dell’azienda, interpretati da Antonio Caruso, Nunzia Burzio, Nicola Le Donne, Maria Strazzullo, Roberta Guida (anche assistente alla regia), Gennaro Di Micco, Luca Monastero, Nicola Zanfardino. Scene di Mimmo Memoli, organizzazione di Clarice Piccirilli, service di Alessio Sepe.

Una “via crucis” nella quale a Marirò  non viene risparmiato nulla. La protagonista attraversa una vera e propria selva oscura, ove occorre ogni volta guardarsi le spalle e schivare colpo su colpo. Si ammala, è inevitabile, di depressione, non mangia più, non dorme più…E se sul proprio cammino trova un medico saggio ed intelligente, che le riconosce clinicamente i danni del “mobbing”, è costretta, poi, a sperimentare voltafaccia ed inganni dell’avvocatessa “battagliera” che inizialmente la sostiene e infine  si allea con l’azienda, i ritardi della burocrazia, la fragilità e la debolezza delle figure sindacali che dovrebbero sostenerla. Finché non diverrà sindacalista lei stessa e, consapevole ormai delle storture e degli inganni del sistema, assisterà altri colleghi nella sua medesima condizione. Una novella Erin Brockovich, per stare ai riferimenti cinematografici, e fatte le debite distinzioni, che riuscirà, in conclusione,  a far valere i propri e gli altrui diritti, con l’assistenza di un difensore più accorto ed ammirato dalla sua capacità, pur attraverso mille sofferenze, di riemergere dall’abisso.

Ma la parola fine, nonostante tutto, è ancora di là dall’essere scritta, poiché molti sono tuttora gli ostacoli (appelli, giudizi in Cassazione, ricorsi e così via… ) da affrontare e superare.

Palpabile è stata la commozione degli spettatori in sala, molti dei quali hanno riconosciuto nella vicenda di Marirò la propria , condividendone ogni dispiacere, alcuni, orgogliosamente, senza nascondere le lacrime. Perché di una  storia vera si tratta, ed è tale l’amarezza,  che “intender non la può chi non la prova”.
E’ stata la protagonista stessa, infine, la vera Marirò, ad alzarsi in piedi e a ricevere la solidarietà del pubblico, che ha applaudito convinto.

“Picchiano solo chi si lascia picchiare”, ha sottolineato alla fine il regista Medusa, ricordando le parole del giudice Falcone, che pagò con la vita la propria caparbia voglia di giustizia. “Ognuno tragga, dunque,  le proprie conclusioni e si prenda le proprie responsabilità – sono state  le parole di Vincenzo Russo, l’autore del testo, che, dopo aver  ironicamente ricordato le ennesime “innovazioni” del “Jobs Act”, nel senso della disciplina dei rapporti di lavoro,  ha chiosato:  “Il prossimo libro che scriverò sarà, forse, intitolato “I nuovi schiavi”. 
E non c’è altro da aggiungere.