Adriana Follieri |
di Maria Ricca
Quest’oggi,
domenica 15 settembre, al Teatro De
Simone, ore 20, l’evento conclusivo di “MatriMORO”, laboratorio dell’attrice e
regista Adriana Follieri, una ricerca teatrale di “Manovalanza”, Menzione Speciale
Scintille 2013 - Festival Asti Teatro 35 . E’ il punto d’arrivo
di un progetto teatrale finalizzato all’inclusione e al coinvolgimento diretto
di due generazioni: i trentenni e gli ottantenni, i primi individuati nella
categoria professionale degli attori e dei danzatori, gli altri scelti per età
e città di provenienza in contesti non professionali, né teatrali.
Ne
parliamo con l’ideatrice del Progetto.
-Qual è il significato più profondo di “MatriMORO”?
“E’ un gioco di parole sui passaggi fondamentali
della nostra vita, matrimoni e funerali. E sull’evoluzione in questi riti di
passaggio.”
E’ stato un
lavoro su generazioni. Il confronto è stato
“unico” e ha messo gli uni di fronte agli altri, giovani professionisti, che hanno deciso di fare dell’arte il proprio
mestiere, con persone che hanno fatto tutt’altro e che si mettono in gioco. Un
confronto bruciante e molto vitale.
-Il suo percorso
è iniziato con lo scrittore e regista Ruggero Cappuccio e l’attore Claudio Di
Palma, con l’esperienza di “Teatro Segreto”. Cosa le è rimasto e cosa trasfonde di questa esperienza nella sua attività?
“Di Palma e
Cappuccio mi hanno insegnato il mestiere. Mi ritengo fortunata di aver avuto
questo “sostrato”. Ho collaborato con loro per venti anni,
sono… nelle mie ossa. Adesso cerco di fare bene, costruendo il mio personale linguaggio, e ripartendo da queste basi.”
-Lei ha lavorato
anche per il teatro cosiddetto “sociale”, avendo un diploma e dunque un’esperienza
importante come operatore teatrale in strutture carcerarie. Quali sono le
caratteristiche di questo impegno?
“Tutto è
collegato. Noi siamo animali complessi. Il lavoro di teatro sociale è stato
importante anche per “Matrimoro”. Le persone con cui ho lavorato per quest’ultimo
progetto hanno, naturalmente, anche limiti fisici, così come limiti di altro genere hanno coloro che sono ristretti in strutture
carcerarie. Il teatro e la messinscena vengono anche dalla filosofia sociale. Lavorando
anche teatralmente in strutture carcerarie, ho capito che il teatro può trovare
sbocco vivo e vitale ovunque, l’arte è insita nell’essere umano. L’importante
sono gli incontri giusti e l’attivazione di determinati meccanismi.”
-Come rispondere
a chi considera il teatro un genere antico, superato da cinema e Tv?
“No,
assolutamente. Il teatro non è un genere sorpassato, ha grande vitalità, forse
un po’ reclusa e scalfita, ma è dove non ce l’aspettiamo. Occorre cercarlo dove
non è. E’ una forma d’arte non educativa, ma evolutiva.”
-Dove va il futuro
del suo percorso artistico?
“Il mio futuro ,
a parte alcuni impegni fuori Italia, riguarda “Il ribelle”, un lavoro realizzato
con gli ex detenuti , su drammaturgia di Claudio Di Palma. Il debutto è in novembre,
tra reale ed immaginario.”