Al “Magnifico Teatro del “Magnifico Visbaal”, esordio vibrante con l’attrice partenopea
di Maria Ricca
Le differenze, quelle sì, beh,
si vedono subito. Se l’ecografia rivela
un maschio, tuo padre si inorgoglisce, se si annuncia una femmina, rassegnato, esclama: “Accumenciamm’ bbuon’!” E
poi, via via, se tuo fratello esce con gli amici, “adda fa esperienza”, se sei
tu a trattenerti fino a mezzanotte con le
tue compagne, sei una poco di buono. In ogni caso, “devi imparare subito
a fare i servizi, trovarti un marito, e rassegnarti ad essere l’ultima a
sedersi a tavola a mangiare, la prima ad alzarsi per sparecchiare”. Se resti incinta e “ ‘o pat’ ‘o vero’” non vuole riconoscere tuo figlio, devi trovare
“ ‘nu pat’ p’apparà”, per salvare le apparenze. Se cerchi di dedicarti a te
stessa, impegnandoti nella ginnastica, o curando il tuo aspetto fisico, “nun sì
‘na femmena!”, sei solo una “donna”, come chiosa la “ ‘nciucessa del palazzo”.
Racconta, con l’ironia e la
sapienza recitativa che le è propria, Nunzia Schiano, la condizione femminile ancora odierna, di certe zone del Meridione, Napoli innanzitutto, e di alcuni strati sociali. Felicemente “madrina” della rassegna “Magnifico
Teatro” del “Magnifico Visbaal”, al
debutto lo scorso fine settimana, con “Femmene”, l’opera diretta da Niko Mucci,
che l’attrice ha portato in scena con Miryam Lattanzio.
Un Meridione popolato ancora da povere colf disperate,
costrette ad alzarsi all’alba per andare a lavorare in centro, schiavizzate da
signore “bene” che le costringono a
rompersi la schiena, anche se sono stanchissime, perché “viene il figlio dal
Nord, con la moglie e con il bambino e non si possono fare brutte figure”. E, intanto, i loro, di figli, sono a casa, hanno la tosse, la febbre, escono
qualche volta con gli amici, ma non sono
mai contenti, perché vorrebbero permettersi quello che hanno i coetanei più
ricchi. E la mamma più di “cinque euro,
annascuso a mio marito (cassintegrato!)”, il sabato, non gli può concedere. Quei coetanei che il più delle volte si chiamano
“Gianluca, Gianmarco, Gianfilippo” e guardano con sufficienza chi. la domenica
pomeriggio, prende la metro da Piscinola e arriva al Vomero,
in cerca di riscatto. Ma non trova che derisione e scherno. Meglio restare a casa, triste e sola, anche
se così si rischia di “pensare” troppo alla propria condizione, conclude la “sciampista”, che al Vomero ci
andrà solo quando sarà in grado di fare “il taglio alle signore”, dall’alto di
una certa professionalità. E’ vero dice, che strilliamo, quando discutiamo, “Ma si nuje alluccamm’ quann’ parlamm’ “,
chiosa, è solo perché altrimenti “nun ce
sent’ nisciun’ !”. Meglio vivi ed infelici, però, questi figli, piuttosto che teppisti, che il loro riscatto l'hanno cercato nella delinquenza, e hanno pagato con la vita la loro "intraprendenza". E alla mamma disperata, ma rassegnata e fatalista, tocca farsene una ragione.
Nunzia Schiano non interpreta i
suoi personaggi, “diventa” letteralmente i suoi personaggi, dando volto e carne
alle anime più diverse di una stessa realtà, forte della sua straordinaria
versatilità, quella che le consente di passare senza colpo ferire dai film di
cassetta con Siani al teatro impegnato. Che “castigat ridendo mores” e denuncia
i pregiudizi, mirabilmente incarnati dalla “Nostra signora dei friarielli” che,
atto dopo atto, nel “radiodramma” - soap opera di cui è protagonista, passa
attraverso le “sventure” più varie, ritrovandosi una figlia buddista (“pecché ha vulut’ fa ‘e scole grosse, invece e se truà nu’
marito!”) , una sorella innamorata ed incinta di un ugandese e, dulcis in fundo,
un figlio omosessuale. “Insomma, voi avete la pace interiore – conclude - ma, a
me, nisciun’ ce pensa?!”
A sottolineare e ad
intervallare gli interventi della
Schiano, le suggestive e mirate interpretazioni di Miryam Lattanzio, tutte
latine e tutte passionali, da “Besame mucho” a “Todo cambia”.
E agli increduli che non
riescono ad immaginare che ci possa essere, nel 2014, ancora chi la pensa così,
non resta che rispondere che ci sarebbe piuttosto da chiedersi se davvero
questa condizione cambierà mai. Agrodolce il gusto che quest’opera teatrale
lascia agli spettatori, infine invitati a non diffondere su Facebook, eventuali
video o fotografie di scena. “Perché l’emozione – conclude la Schiano –va vissuta
nel luogo ad essa più consono, il teatro appunto.” E, solo nella verità del
contatto diretto, pubblico ed attrice si fondono, nella consapevolezza di certe
inalienabili verità.