Applausi per Ernesto Lama, Margherita Vicario e Giovanni Esposito in una performance sulla magia del palcoscenico
di Maria Ricca
“Perché il teatro è l’unico
posto ove si viaggia davvero, come su un treno, più che su un treno…” E si viaggia attraverso sogni, emozioni,
ricordi e sensazioni che solo il palcoscenico può dare. A chi è protagonista in
scena e a chi, in platea, ogni sera, riceve nuova linfa vitale dalle più felici
interpretazioni.
Una vera e propria
celebrazione dell’arte teatrale, dunque, quella andata in scena per la rassegna
del Teatro Pubblico Campano, al “Roma” di Portici, e questa sera a Benevento,
al Massimo, con “Signori, in carrozza…”, di
Andrej Longo, nella quale si son fronteggiate, senza risparmiarsi, le più diverse professionalità della Compagnia
degli “Ipocriti”
Un’opera
corale curatissima, nella regia discreta ed attenta di Paolo Sassanelli (l’ “Oscar”
di “Un medico in famiglia”, per il grande pubblico), che per sé ha ritagliato
volutamente un ruolo minore, onde meglio tirare le fila di un gioco scenico, in
cui nulla è stato lasciato al caso.
Una
messinscena senza cadute di ritmo, difficile da allestire e da gestire, a metà fra
il musical ed il racconto, per narrare il fronteggiarsi di due compagnie in
gara per salire sul treno, “La Valigia delle Indie”, Londra-Brindisi-Bombay ed allietare così il viaggio
dei passeggeri. Due filosofie e due stili diversissimi, incarnati, nelle
complicate simmetrie delle scene di gruppo, dai leader dei due schieramenti
artistici, il Direttore, convinto testimone della tradizione del teatro
partenopeo, a cui ha dato vita un Ernesto Lama in stato di grazia, con voce
potente e caratterizzazioni indovinate, da Nino Taranto in poi, e la disinvolta Margherita Vicario (la
giovanissima “Nina” de “I Cesaroni”), che ha regalato al pubblico gustose
performances, fra il jazz e lo swing, con brio e naturalezza da attrice
navigata.
E’ stata
Marit Nissen, la bella attrice e doppiatrice tedesca, compagna di vita e di
scena di Sassanelli, qui nei panni di Frida, a fare all’inizio da “trait – d’ –
union” fra i due modi di concepire lo spettacolo, lasciando intendere esperienze
dolorose (campo di concentramento?) alle spalle, e quindi disposta, nonostante i modi rudi, all’accoglienza
del diverso. E’ un attimo e i due gruppi, i “signori” e gli “zingari” dopo
ripetute schermaglie, trovano un’intesa. A suggellare l’unione, l’esecuzione congiunta dei brani più diversi, fino all’irresistibile
“Rumba degli Scugnizzi”, ove la melodia e le parole di Viviani hanno dato vita
ai minuti più coinvolgenti dello spettacolo, con l’irrinunciabile apporto di Ivano Schiavi
e Sergio Del Prete
L’Ensemble
“Musica da Ripostiglio” , in una
performance nei toni e nei ritmi vicinissima alla tradizione dell’Orchestra di Piazza Vittorio e a quella “Wedding and Funeral” di Bregovic, ha confermato la classe che l’ha distinta in quest’ultima
stagione, in “Servo per Due”, con Pierfrancesco Favino.
I due “capocomici”, nella storia, finiscono per sognare insieme un futuro a
Broadway, in una rinnovata alleanza, stretta ancor di più dalla passione e
dalla paura per un fantasma che si aggira nell’antico teatro in cui fanno le
prove, tale Pasquale Cafiero, attore fallito, che vorrebbe che le due compagnie
rinnovassero la tradizione della sala in disuso nella quale si trovano, pena la
maledizione di non lavorare più in futuro, e per questo lascia loro in eredità
un baule pieno di costumi di scena. Nessuno ci casca, però. Il “fantasma” altri
non è, “en travesti”, che il gestore del
teatro, l’irresistibile Giovanni Esposito (già al cinema con Alessandro Siani
ed in Tv con Giorgio Panariello), che davvero in ogni modo prova a trattenere
gli artisti, improvvisando divertentissimi siparietti che hanno appassionato e
divertito il pubblico.
Le audizioni per salire sulla “Valigia delle Indie”,
si comprende alla fine, sono solo un pretesto per fare on modo che la sala
teatrale chiusa ritorni alla vita.
Nulla di tutto quello che si è detto, dunque, è
vero.
Se non che il teatro è ancora il luogo dei sogni,
ove tutto davvero può accadere. E così sullo schermo posto sul palcoscenico, sono
apparese, malla fine, le belle immagini degli attori e delle performances del
tempo che fu. Una messinscena che va letta come un reale atto d’amore verso un
genere che, a dispetto del tempo, continua ad ammaliare…