La figura tormentata del poeta
Dino Campana, in una partitura elettrificata dei “Canti Orfici”, al centro di “Dei più lunghi giorni", la performance
scritta e diretta da Peppe Fonzo, attore, autore e regista, con
il cantautore Fabrizio Coppola, in scena al Piccolo Teatro
Libertà, nel finesettimana pasquale, per il “Magnifico Teatro
-
I perché di questa scelta.
“La scelta di Dino Campana è
dovuta alla voglia di attraversare l’opera di questo poeta tormentato e quasi
sconosciuto ai più, se non agli appassionati e agli amanti di certo teatro
underground. Del resto Campana non riuscì ad arrivare alla profonda notorietà, perché
distante da determinati salotti letterari. Non amava D’Annunzio, aveva in
antipatia tutti i poeti che considerava “venduti”. La sua
capacità visionaria, la sua lirica così “ostica”, ricca di immagini forti e potenti, mi ha lasciato spiazzato. Questa schizofrenia,
questa vita tormentata che si riverbera sul suo lavoro mi ha profondamente
affascinato. Così ho voluto affrontare con il mio linguaggio, che è quello
teatrale, insieme con il cantautore Fabrizio Coppola, di grande sensibilità, i “Canti
Orfici” e in sei mesi abbiamo creato questo percorso, che ha inteso unire
musica e teatro.”
-
Un percorso che
conferma la tua poliedricità di attore, in grado di passare da un tema all’altro
nelle varie opere di cui è regista e protagonista. C’è un filo conduttore nella
tua produzione?
“In realtà il Teatro è come il
calcio. Se ti piace, desideri voler giocare su tutti i campi e quindi ecco questa mia
esigenza artistica, che mi vede impegnato sia su testi molto tradizionali, come
è stato per “Fuje Filumena”, dunque impianti scenici abbastanza classici, seppure
rivisitati, con mie peculiarità, sia su scenari e linguaggi contemporanei, come questa partitura elettrificata, con musica al computer, che mi affascina tantissimo.
Cose molto distanti, insomma. Quanto al filo conduttore della mia produzione,
lo individuerei nel desiderio di puntare la lente di ingrandimento sulle storie
dei personaggi “ai margini”, “borderline”, sulla loro feroce sensibilità, che
spesso è segno di grande profondità interiore e di tante cose da voler dire. Ho
imparato a comprenderle, portando i miei laboratori teatrali nelle carceri e
presso il centro dell’ Unità
Operativa Complessa Salute Mentale di Benevento.”
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Tornando all’opera su
Dino Campana, in che termini ritornano nella tua “partitura elettrificata” i temi a lui cari, “la notte”, “il viaggio”, “il ritorno”?
“In questo attraversamento
poetico e verbale, ben più che un semplice “reading”, con Fabrizio Coppola, siamo partiti dai “Notturni” , argomenti
intimi che vengono fuori anche nell’interazione tra il pubblico e noi, un senso
di intimità, appunto, favorito dal buio,
che cela sensazioni ed immagini soffuse. Del resto “la notte è la languida
amica del criminale” diceva Campana, perché nella penombra fa emergere delle sfumature…
Quanto al tema del viaggio, quello di Campana è stato piuttosto un “non viaggio”,
“un percorso emotivo” ed il “ritorno”,
indubbiamente, il desiderio di rivedere le sue cose, il suo paese d’origine, la
persona amata. Il rapporto con Sibilla Aleramo , invece, resta solo accennato
nell’ultima parte, in due lettere, con l’attesa
di un amore e la voglia di unirsi, di
crescere. Ci interessava, infatti, dare
spazio più ai “Canti Orfici”, non solo ad
una storia d’amore, di cui e su cui già si è detto tutto. La
nostra messinscena è una “partitura musicale ritmica”, in cui ritrovo molte
delle mie corde, poiché io stesso nasco artisticamente anche come musicista e
non mi sarebbe dispiaciuto fare il cantautore.
- Una “partitura elettrificata”…
“Un attraversamento artistico
con musiche elettroniche distorte, un lavoro dove la parola dell’attore e la
chitarra distorta è elettrificata. Anche l’attore ha voce distorta con effetti,
con mezzi contemporanei ed interessanti, da sperimentare con queste poesie. Sono
molto contento di questo progetto, che
dobbiamo ancora completare e far evolvere. Intanto il pubblico ha già risposto bene. Speriamo di
crescere.”