di Maria Ricca
NAPOLI - Un potente, drammatico urlo di dolore, racchiuso nella ossessiva plasticità dei corpi nudi che popolano la scena teatrale e l’immaginario di Marina Otero, danzatrice, performer, coreografa argentina, novella Frida Khalo quasi, in quella sofferenza a cui lei non si arrende, affidando ai suoi alter ego (tutti maschi, tutti “Pablo”), il testimone della sua arte.
A lei il compito di introdurre, con “Fuck me”, la seconda tranche del Campania Teatro Festival-sezione internazionale, al Politeama, diretto a Napoli da Ruggero Cappuccio, autore, regista, drammaturgo.
Costretta a movimenti essenziali dalla sua patologia alle vertebre, rifiuta ogni stereotipo di bellezza interiore, fa strage di ogni finto buonismo e si propone al pubblico quale ella è, senza veli, né esteriori, né interiori.
Ne vien fuori una pièce forte, terza parte di una trilogia iniziata con "Andrea" e proseguita con “Se rappeler 30 années pour vivre 65 minutes”, che gli spettatori possono seguire in lingua originale, o con i sottotitoli in alto, in Italiano, in cui Marina ripercorre la propria esistenza, dagli esordi, alle emozioni, a quelle coreografie e movimenti forti che le sono costati l’immobilismo.
La sua corporeità è inscindibile dall’anima, che danza, attraverso i propri desideri fisici e spirituali sulla scena, nelle prorompenti nudità dei ballerini ed infine anche nella sua, asciutta e ancora bellissima, nonostante l’invalidità.
“Quando le parole non bastano – dice - il corpo riempie. L’opera si colloca in quello spazio tra corpo e parola, tra ciò che c’è e ciò che manca, tra ciò che percepiamo consapevolmente e ciò che è incomprensibile".
Marina, come Frida, dunque, non si arrende al destino e va in scena comunque e quantunque, contro ogni stereotipo, in nome della vita, che va, deve andare avanti. Ma senza falsi miti e nel più completo disincanto.
Lo
spettacolo, struggente, è stato accolto dagli spettatori in un misto di stupore
per le immagini forti e commozione per il messaggio trasmesso, e vissuto in un liturgico silenzio, rotto alla fine dagli
applausi.