PARLIAMO DI...


12/05/22

TEATRO – “Cuòre, sostantivo maschile”: storia di donne libere, tra sofferenza e disincanto

 

Daniela Giovanetti e Alvia Reale.
Nel riquadro l'autrice Angela Di Maso

di Maria Ricca

NAPOLI - Buio. Poi la vita. Quella fatta di fasi drammatiche, a volte tragicomiche, dolorose anziché no, intense tutte, di sicuro. 

E’ la “Storia di Alvia e Daniela”, quella che si racconta in queste sere al Ridotto del Mercadante, in “Cuòre: sostantivo maschile” di Angela Di Maso, drammaturga e musicista. Un percorso incredibilmente coinvolgente per lo spettatore, lo snodarsi delle vite delle due interpreti, che raccontano in maniera struggente i propri rispettivi passi attraverso l’esistenza. Da Alvia Reale, che inizia brandendo metaforicamente una motosega, con la quale vorrebbe aver ragione di chi le ha fatto del male, di un mondo dello spettacolo superficiale, che premia noiosamente anche chi non merita e dove la gioia della maternità diventa una iattura, per chi crede di non poter fare più affidamento su di te, attrice brillante, perché “aspetti”. Ma del resto, al giorno d’oggi, “un paio di scarpe costa più di un attore”. 

E’ la volta di Daniela Giovanetti, che dà parola alla sofferenza attraverso una fisicità estrema, salendo e scendendo metaforicamente dalle montagne russe dell'esistenza, scivolando lentamente  dal successo alla sofferenza e poi riprovando di nuovo il successo, sia pure in tono minore. 

E tornano i ricordi. Protagonista, stavolta, la madre di Alvia, dolorosamente abbandonata a se stessa, con la responsabilità di una figlia, che, però, le resta accanto fino all’ultimo, secondo una triste ritualità, rappresentata da un trionfo di centrini di filo, a ricordare la laboriosità antica e i sacrifici, per nulla ripagati dall’attenzione altrui, nemmeno al solitario funerale. 

Il doloroso destino di un padre tanto amato e tanto infelice è al centro della storia successiva  di Daniela, che Alvia accompagna con un fragoroso rompere di piatti e con l’illusione degli specchi, che riflettono una realtà deformata e dunque un “Pensiero stupendo” , aperto ad ogni interpretazione. 

E poi il sesso, di cui le protagoniste sembrano  riempire la propria solitudine Ma essere troppo sottomessi, troppo fedeli non conviene. Lo sa bene il cane in cui Alvia si trasforma, in attesa perenne di una padrona che non tornerà mai a riprenderselo, mentre più saggio e più indipendente è il gatto interpretato da Daniela, che basta a se stesso ed è orgogliosamente autonomo.

E’ tempo, infine, di uscire dagli inganni. Da quello principale, soprattutto, che è il teatro stesso, dove, come si suol dire,  “tutto è finto, ma niente è falso”. Purché non sia virtuale, però, come in tempo di Covid, in cui ci si è ostinati, addirittura, a rappresentare, recitando on line,  perfino i classici dalla propria cucina, “sporchi di ragù”. 

E’ tempo di ripartire? Ci saranno i ristori? Si uscirà dal tunnel? Chissà…”Parole, parole, parole…”, per le protagoniste e l'autrice, premiate da molti e meritati applausi,  che hanno davvero regalato al pubblico una parte di sé, lanciandosi  “senza rete", fra sofferenza e disincanto.