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18/07/22

NAPOLI - "Brividi d'Estate" all'Orto Botanico, con Rosaria De Cicco, struggente "Olga" ne "I Giorni dell'abbandono" di Elena Ferrante

 

di Maria Ricca


TEATRO
- Sentirsi come ad occhi chiusi, perduti in una spirale senza ritorno, senza punti di riferimento, sbattuti fuori dalla “comfort zone” di una quotidianità alla quale si credeva di appartenere, da una camera meravigliosa della quale si era convinti di possedere la chiave, avendone chiuso a doppia mandata la serratura, impossibile da penetrare per chi non appartenga a quel microcosmo.

E’ la storia di Olga, napoletana trapiantata al Nord, felicemente sposata con Mario, madre consapevole dei piccoli Gianni e Ilaria. Lui la tradisce, sono cinque anni che lo fa, con una donna più giovane e seducente, ma solo ora ha il coraggio di confessarlo chiaramente  alla donna della sua vita. E va via. E' l'inizio della fine per lei.

E’ la trama solo apparentemente banale de “I giorni dell’abbandono” di Elena Ferrante, nella versione teatrale diretta da Annamaria Russo, in scena per "Brividi d'Estate", all'Orto Botanico, rassegna de "Il pozzo e il pendolo",  ed affidata ad una Rosaria De Cicco in stato di grazia, che diventa Olga in maniera appassionata, ipnotizzando il pubblico in religioso silenzio fino alla fine e rispettoso del dramma incarnato dalla figura dolente di quella donna sedotta ed abbandonata.

Una storia dai caratteri simili a quelli di tante altre che si fa unica, però, nell’interpretazione potente dell’attrice e nella lettura che ciascuno di noi può dare ad una vicenda così drammatica e complicata, personalmente vissuta o attraverso l’esperienza dell’amica più cara.

Olga sperimenta, così,  una sorta di “arresto esistenziale” , come direbbe ironicamente, ma nemmeno poi tanto, Diego de Silva, interrompendo all’improvviso la continuità della propria vita. E più che un procedere doloroso, il suo, è un vero e proprio improvviso aborto naturale spontaneo. Olga si offre, infatti,  senza difesa alcuna, “senza pelle” alla sofferenza. Diventa una donna diversa, da silenziosa che era , urla con quanto fiato ha in gola e si difende, ora aggredendo, ora tacendo, ma senza riuscire a suscitare alcun senso di colpa in chi, tradendo lei, ha tradito la famiglia intera. La sua discesa agli inferi impone anche un abbandonarsi alla prosaicità del sesso senza amore, quando cerca nel musicista Carrano, vicino di casa, una sorta di riscatto, che tale non è e non potrà mai essere.

E così la De Cicco sa entrare, identificandovisi completamente, nei meandri più profondi del dramma di Olga, che si fa quasi Medea, nel trascurare i figli, oltre che se stessa, per punire l’uomo amato. La protagonista offre una recitazione intensa e serrata, senza cadute di ritmo, abbandonandosi talora ad espressioni dialettali, per rendere più efficace la sua già profonda espressività. Il viaggio all’inferno e ritorno della protagonista è narrato in maniera così efficace dall’attrice, professionalmente molto cresciuta dai tempi del cabaret, che allo spettatore sembra di rivivere ogni minuto con lei l’intensità del dramma, articolato su una scenografia inevitabilmente essenziale, mentre la regia affida alla sola forza della recitazione, ai fiati, ai sospiri, alle grida, la comunicazione delle fasi dell’abbandono di lui e di se stessa, nel percorso dalla disperazione alla rinascita. Una dimostrazione di grande sensibilità e capacità di immedesimazione attoriale, da parte di Rosaria De Cicco, che ha richiesto altresì coraggio nel cimentarsi in testo difficile, senza scadere nel melodramma e nell’eccesso.

Se non è l’amore, alla fine, che “vincit omnia”, è di certo l’istinto di sopravvivenza, a cui in chiusura Olga si aggrappa, recuperando l’amore per se stessa, il senso di responsabilità nei confronti dei figli e lasciando, in qualche modo, che sia il cane di famiglia a pagare, ignaro, il devastante senso di abbandono che sconvolge la donna e il suo nucleo intero . Vittima anche lui, come Olga, abbandonata dagli amici di sempre, oltre che dal compagno, della cattiveria umana. Un essere indifeso che non sa sottrarsi all’inevitabile fine. Olga può risorgere, invece, e così le altre donne come lei, che percorrono lo stesso catartico cammino di disperazione e rinascita. L’elaborazione del lutto è completa.