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29/03/24

LA RECENSIONE - Adriana Pedicini e la poesia della "Quintessenza": fra impressioni amare e suggestive e consapevoli speranze




di Maria Ricca

LIRICHE - Un volto femminile dall’espressione intensa, rivolto verso l’alto, forse verso il cielo, quasi ad attendere una risposta. “Quintessenza” (edizioni “Il Foglio”), il quinto e più recente volume di liriche di  Adriana Pedicini, docente di Lettere Classiche nei Licei, poetessa e scrittrice pluripremiata in prestigiosi concorsi nazionali ed internazionali, presidente dell’Associazione di volontariato Uselte Auser, si presenta così, già nell’immagine di copertina, quasi a riassumere i pensieri e le emozioni dell’autrice. 


E dunque, accompagnati dall’afflato della “Ballerina”, la scultura in marmo policromo di Vitulano, opera di Mariano Goglia, impressa su sfondo di sfumature indaco, entriamo in punta di piedi nelle riflessioni in versi dell’Autrice, divise in sezioni, attraverso le significative parole delle sue poesie. Che subito non lasciano spazio a fraintendimenti: la vita è innanzitutto un “Navigare a vista”, e come darle torto. I pensieri si affollano nella mente di Adriana Pedicini, soprattutto all’imbrunire, ora cruciale del giorno nella quale ella ripensa a ciò che è stato, a ciò che è lontano e  prova nostalgia. Impossibile tornare indietro, però, al rifiorire della natura. All’umano non è concesso. Il cuore allora si fa scuro e non può essere diversamente, nel pensare ad una tragedia vicina, che solo il pensiero di una rinascita come “Stella” può, per un attimo, illuminare di nuovo. Sarebbe bello poter ricominciare tutto daccapo…Ma non ci è dato e “Non è lecito sapere” la via d’uscita, né il momento in cui essa si aprirà. La delicatezza delle espressioni rappresenta perfettamente la dolorosa incertezza per il futuro. Solo la “Natura” dà consolazione all’animo “sempre assetato”. E “L’ultima pagina” non è triste, anche se “il vuoto appare totale”,  perché la volontà domina la tristezza e riempie il vuoto di “fiori di biancospino, di cieli azzurri, del canto dei fringuelli”, in attesa del guado. “Qual è il senso della vita?” si chiede l’Autrice, e lo trova “nel profondo dell’anima”, nel “magma incandescente”. Forse la pace è solo “nel divino abbandono”. L’età più bella, ne è certa la poetessa, è quella attuale, in cui non c’è più la smania d’attesa, ma si può godere giorno per giorno della bellezza di ciò che si vive.

Giunge la “Grazia” divina a dar conforto alle ansie e ai dolori, l’immagine di una porta che si schiude alla Verità e restituisce finalmente un senso ed una prospettiva al dolore. Lo sguardo della scrittrice può aprirsi ora dunque ai “Colori e dolori del mondo” che intorno si agita, dei popoli che soffrono e cercano “Libertà” e quel futuro che però viene loro negato, senza alcuna pietà “financo per i più piccoli”. Il pensiero va all’Ucraina e a quel maledetto 24 febbraio 2022, quando il dolore è iniziato, e il pianto non può trattenersi. “Chi darà le case, le cose, il pane quotidiano, la dignità a chi hanno tolto perfino l’umanità?’. La dea bendata quasi “si diverte a rovesciare i tavoli, prima che la giostra sia terminata”. Amara e dolorosa consapevolezza che anche “Morta è la Pietà”. La speranza vive sempre, però, e un giorno “torneranno i sorrisi”. Infine, “L’abbandono” e il ricordo dolce e nostalgico della madre con il desiderio di ritrovarla, almeno nei sogni, in un “tempo senza tempo”.

“Dedicate” ad altrettante figure care, che l’autrice descrive attraverso le qualità più tipiche di ciascuna, tra ricordi delicati, gioia e tristezza, sono le liriche successive e l’afflato poetico si scioglie così in tenerezza.

La chiusura è dedicata ai ricordi di fanciulla e la lingua italiana non può che stemperarsi nell’idioma dell’anima, in un  “Trittico dialettale”, tra i “Suonni” e il “Grano” dei giochi dell’infanzia spensierata che si stempera, però,  ancora una volta, nella  “Malincunìa” che resta il leit motiv dell’intera raccolta. Splendide le immagini che inframezzano le liriche, notevole la capacità dell’Autrice di indagare in maniera struggente e spietata nelle pieghe del proprio animo, senza timore, offrendo un quadro complessivo di straordinaria suggestione. E forse la “Quintessenza” della vita è proprio qui, “nell’accettare consapevolmente e “religiosamente” – conclude Adriana Pedicini – come un personaggio sofocleo quel che ci capita e ammantarlo di senso”, poiché “se abbiamo occhi per guardare dentro e fuori di noi con meraviglia e desiderio ogni cosa, sarà la serena bellezza a dar vigore alle nostre speranze, a rendere brillante ogni opaco atomo del vuoto che ci opprime.”