TEATRO - Rosaria, che vive per strada, una scarpa sì ed una no, vestita di stracci imbottiti da fogli di giornale accartocciati ed un cartone a farle da coperta e da scudo contro il disagio del freddo e di una esistenza precaria. Rosaria, che conta in su e in giù gli scalini nell'altalenanza delle sorti della sua quotidianità, Rosaria, che era bella e colta e che una casa ce l'ha, come rivendica orgogliosamente, ma che ne è fuggita, perché le ricorda la vergogna della famiglia borghese da cui proviene, per la quale, però, è più accettabile un fratello che molesta ogni notte una sorella, nel silenzio della madre, che una ragazza che comprende di amare l'universo femminile più di quello maschile è per questo è ghettizzata. Rosaria, che era guida turistica e ora odia l'affollarsi di visitatori da ogni dove, senza controlli, che fa di Napoli "un giocattolo scassato", ed è felice solo quando ripensa a colei che ha amato, alle sue forme, alla sua dolcezza, alla sua sensualità. Nel cuore la bellezza, il ricordo struggente dell'anima gemella che le aprì il cuore, che "iniziava e finiva il suo pensiero", nelle mani quel suo orecchino che conserva in petto e stringe come un feticcio ed un amuleto insieme. Ma lo sa: l'amore sfugge, "è una cosa che non si riesce a difendere...". Rosaria, che segue il volo dei gabbiani, ma che prosaicamente ha bisogno di sentire il rumore della saracinesca del bar aprirsi ogni giorno alle 6 e di aspettare infreddolita la carità di un bicchiere di latte macchiato, da bere con i lavoratori dell'alba, ascoltando il rumore di quel motorino, che è il primo segnale del giorno che rinasce.
Una vita raccontata in 50 minuti intensi e disperatissimi di flusso di coscienza da una straordinaria Monica Palomby, che alla rassegna FaziOpenTheater, diretta da Antonio Iavazzo (organizzazione generale di Gianni Arciprete), ha dato vita a "Rosaria" di Davide Iodice, in memoria della clochard più nota della città di Napoli, e al racconto della sua progressiva discesa negli inferi, lasciandosi ogni volta possedere e dunque emozionare dall'anima di lei.
Molti applausi infine ed un illuminante dopo-teatro con l'autore e regista della pièce Davide Iodice, Premio Ubu speciale, che ha raccontato la genesi di questo volume 1 di un progetto più ampio, dal titolo "Esclusi - antologia scenica di vite da scarto", che accoglie le ricerche drammaturgiche di giovani autrici e autori fortemente compromessi con il reale e le sue trasformazioni sociali, nell’ambito del ciclo Officina della Scuola elementare del Teatro/conservatorio popolare per le arti della scena. "Il senso - ha spiegato il regista Iodice, che terrà in questi giorni anche uno stage in loco - è dare visibilità a chi vive ai margini. Con il mio teatro cerco di comunicare intensità e spingermi in territori inesplorati." Un percorso di costruzione dello spettacolo, che è il "funerale, che la vera clochard Rosaria non ha avuto", e che non ha potuto prescindere anche da una sorta di "braccio di ferro" catartico con l'attrice ed interprete principale, stimolata da ogni tecnica registica maieutica a dare il meglio di sé nella verità della costruzione del personaggio.
Lo spettacolo è stato preceduto dal ricordo da parte del regista ed autore Marco Palasciano del compianto Francesco Natale, musicista e rapper di grande qualità, tragicamente scomparso proprio un anno fa, anima bella, capace con il proprio impegno ed attivismo in ambito artistico di "regalare sogni alle persone" e di aiutarle a realizzare i propri.