*artista e scrittrice, autrice di opere letterarie e di riflessioni teoriche su questioni di semiotica e di psicoanalisi.
L'occhio di chi guarda è sempre antico, ossessionato dal proprio passato e dalle suggestioni, vecchie e nuove, che gli vengono dal cuore e dal cervello, dall'orecchio, dal naso, dalla lingua, dalle dita. Ciò che vede è regolato da bisogni e presunzioni. Nulla si vede nella sua schiettezza, ma solo attraverso i pregiudizi.
L'idea dell'arte come copia della realtà è nell'occhio di chi guarda ed è un errore concettuale, in quanto ogni percezione di qualcosa è una percezione di questa cosa in quanto 'qualcosa'. Può diventare immagine ogni forma che può cessare di essere nel proprio luogo e arrivare a esistere fuori di sé.
Diventare immagine per ogni cosa è fare esperienza di questo esilio indolore dal proprio luogo. Questo non significa che il concetto di somiglianza non possa essere sfruttato abilmente nell'arte.
La realtà che si versa nell'opera acquista natura di riflesso, come la propria immagine allo specchio è una duplicazione differente, liberata da vincoli reali attraverso il suo ingresso in un 'medio'. Come solo attraverso lo specchio diventiamo esperienza di noi stessi, così solo nei media la nostra esistenza riesce a prolungarsi al di fuori di noi. Entrando nella scrittura, la vita esiste nelle modalità dell'alienazione. Ma se il mio io si riconosce in questo qualcosa di estraneo, questo diventa qualcosa di mio.
Verità e finzione sono due categorie essenziali dell'arte, ma è necessario specificarne le relazioni. Il concetto di verità in riferimento all'arte non ha una connotazione realistica né culturale, ma possiede una corrispondenza solo con l'idea artistica, idea che, nel tempo in cui viene posseduta dall'artista, può essergli nascosta o evidente. Il bisogno di verità è ineliminabile per l' artista, fino a essere vissuto come incorporazione, qualcosa che appartiene alla propria carne e che da essa deve essere strappata per apparire all'artista stesso e agli altri. Solo dopo questo strappo, l'artista conosce la propria idea artistica. Verità quindi non in relazione al mondo, ma all'artista.
Sembrerebbe che questo concetto sia in contraddizione con quello di finzione. Ma se ci interroghiamo sul 'come' rendere visibile la verità, ci accorgiamo che essa deve essere costruita attraverso la realizzazione dell'opera. Costruire = fingere, cioè realizzare prelevando frammenti dal mondo visibile e immaginario. Possiamo immaginarli come pezzi di un puzzle e capire come su ognuno può essere 'stampata' qualche somiglianza o riproduzione del reale. Questo trae in inganno lo spettatore, in quanto è indotto a ricomporre la totalità dei frammenti, leggendo in essa un'idea e credere che questa costituisca la verità o il cosiddetto contenuto. In effetti, la scena del puzzle è solo necessaria ma non vera.
L'idea che l'esperienza estetica sarebbe rigorosamente emozionale è molto discutibile, perché le emozioni funzionano cognitivamente. Provare, nell' esperienza estetica, non vuol dire dissolversi in un bagno emozionale, ma capire quali proprietà siano possedute ed espresse da un'opera. Di conseguenza, l'esperienza estetica non è privata delle emozioni, è la comprensione a esserne dotata. L'emozione può essere attribuita solo a un essere che possiede determinate conoscenze. Se queste non esistono, non esiste emozione.
