di Pina Arfè*
artista e scrittrice, autrice di opere letterarie e di riflessioni teoriche su questioni di semiotica e di psicoanalisi
Troppi i luoghi comuni sulla donna, ritoccati in occasioni speciali da rifiniture intelligenti che comunque vanno a confluire nel grande fiume dell’ ovvio.
Con
molta esitazione, dopo questa premessa, mi accingo a evidenziare due punti del complesso problema - l’assassinio - in cui è sfociata oggi la storica contrapposizione tra i due sessi e tra i due ruoli. Essa, nata probabilmente da motivazioni indispensabili
alla sopravvivenza, dopo la costruzione
di un percorso liberatorio della donna, ha deviato verso fanatismi ideologici, capaci di distruggere a loro
volta quello spazio della cooperazione e
dell’interrelazione che si dovrebbe iniziare a ricostruire al più presto. L’
amore non fa parte di questo scenario.
Nella
necessaria risistemazione degli equilibri, il primo punto riguarda la malattia dell’uomo, inteso come categoria in
crisi all’interno di un sistema che si
fonda sulla dualità. Inutile sottolineare che il termine ‘uomo’ non è riferibile alla totalità del genere. Se la donna comincia oggi a guarire da
storiche malattie inflitte da uno
squilibrio cieco fondante il rapporto di coppia, è proprio oggi che l’uomo,
non possedendo più la sua antica identità,
distrutta dall’assestamento di quella
femminile, non è riuscito ancora a sostituirla con altre forme dell’essere,
più adatte al tempo che vive. Tale
privazione lo rende invisibile a se stesso,
inducendolo a obbedire alla violenza come unico sostituto di garanzie pregresse. In questo modo perde un’occasione
che la vita gli ha offerto: approfittare
del ‘vuoto’ come unica possibilità di reinventarsi. Ma il soggetto omicida non ha messo a fuoco il senso di
questa perdita. Continua a percepire il
terrore di perdere se stesso. Nel suo teatro interiore i personaggi sono forze assolute che gli sussurrano che l’agente
del suo male è la donna, perché è nel
territorio della coppia che avviene il gioco delle parti. Esso proclamerà un vincitore, mentre ad assistere è il mondo
intero.
Il
secondo punto riguarda la doppia esistenza vissuta fino a oggi dalla donna, quella di essere umano e quella di
immagine diffusa dai media estesi, che
la trasformano da essere umano complesso in ‘immagine’, cioè in un sistema sensibile e percettibile, che vive al di là
del corpo, come una sorta di
trascendenza sensoriale. Il medio che la crea consiste in uno spazio
intermedio tra corpo e spirito, un ‘fuori’,
per cui la visibilità di una cosa è separata
dalla cosa stessa. Questa dimensione diventa, agli occhi dell’uomo malato,
un abito indossato dalla donna come una
seconda pelle, che le conferisce fattezze
fantasmatiche capaci di innescare i suoi deliri. “Esso possiede il
primato della sensazione e della
percezione sulla coscienza. La vita sensibile,
infatti, esiste prima dell’esistenza di ogni organo percettivo”, non è custodita nella struttura dei corpi
organizzati, perché la sua fisiologia è
anche extracorporea, extramentale, extrasoggettiva.
L’immagine diventa “L’essere della
conoscenza in atto fuori dal soggetto:
una sorta di inconscio oggettivo“ (E.COCCIA) che, anche se non
rappresenta un modo del soggetto, resta anteriore ad ogni psichismo. Il suo
potere viene esercitato a livello cognitivo. L’esistenza delle forme, infatti,
entra nella realtà dell’esperienza, ma
in una forma non psicologica e non oggettiva. L’uomo frustrato vede nella sua donna un insieme
percettibile privo di umanità. La sostituzione di questa conoscenza primaria
alle altre due precedenti, nella mente
di alcuni uomini, crea un ‘doppio immaginale’ che li estromette totalmente dalla realtà, serrandoli in una
stretta paranoide - una monade senza finestre - che li nutre di tensione e di aggressività,
assolutamente invisibile al suo occhio
cieco. Il ‘doppio immaginale’
viceversa, se utilizzato come elemento di nuove
relazioni mentali, costituisce un arricchimento per la creazione di
quelle trasparenze e di quelle sfumature, che rendono più complessa ogni forma
di conoscenza.