In cerca di una vita, percezione e volontà guidate da una coscienza alternativa...
* artista e scrittrice, autrice di opere letterarie e di riflessioni teoriche su questioni di semiotica e di psicoanalisi
Una sintonia impensata tra lei e gli spazi: tronchi lisci, sfumati dall’ocra e dal grigio, maculati con discrezione, con enormi piedi circolari affondati nella terra e alti, alti fino al cielo; per guardarne la fine lei spingeva a tal punto la testa all’indietro, che perdeva l’equilibrio. “I cipressi che a Bolgheri alti e schietti…”. Un tempo la loro macchina si era fermata a metà viale, quel viale: due piccole stuoie di paglia e il loro improvvisato “dejuner sur l’herbe”. Poi il caffè servito da una donnina d’altri tempi, in un piccolo bar del paese, anch’esso d’altri tempi.
Le scarpe le carezzavano i piedi come piume affettuose, l’asfalto grigio era invitante: andare, andare….. gli occhi fissi in una sola direzione, la mente…. un guscio mai aperto. Andare come si va in sogno, percezione e volontà guidate da una coscienza alternativa, capitata all’improvviso in una situazione già avviata, organizzata da una sceneggiatura mai letta né appresa in precedenza, da una regia senza alcun ruolo, calato tuttavia nel corpo degli attori. E il pubblico? Silenzio. …Rumori tonfanti sul palcoscenico di legno, apparizioni improvvise e tumultuose, come a scavare spazio dentro alle persone, frasi lanciate nel vuoto come sassi, risuonanti, quasi a invocare l’imminenza di tragedia, innescata alla paura. Poi, alla fine, mentre cominciavano a scorrere, ciascuno verso l’altro sul suo pezzo di binario, i due lembi del sipario somigliavano a due vecchi contendenti, protesi ormai,alla fine della vita, a stringersi la mano.
Apparve una donna dal fondo della scena, immobile di fronte a Erminia, ma distante, senza possibilità di percepirla in alcun modo. Accanto a lei, ai lati, due filari di platani appena arricchiti da foglie appena nate, traforate di nulla; rami lunghi, lunghissimi e affilati, perlati di grigio anch’esso appena nato, divergenti ognuno dal gran tronco, ciascuno in cerca del suo cielo. Ma appena il suo sguardo ritornò sulla donna intravista da lontano - troppo lontano, benché ella avanzasse in avanti speditamente ,quasi a chiedere ai suoi occhi di essere riconosciuta nell’istante decisivo, prima di fare a meno del vizio della vita - Erminia si accorse che le sue mani, invece che le foglie dei platani giganti, sfioravano le folte palme di Alicante. Ma non era seduta a guardarle nella macchina accogliente di quel tempo, insieme a tutta la famiglia, in un viale ombreggiato e ruminante di voci e calpestii del primo pomeriggio, di un’estate troppo dolce per poterla godere senza alcuna sofferenza…?
Avanzando nel viale di platani, questa volta quello vero, aveva appena superato un maestoso edificio giallo e bianco che a vederlo da lontano, ondulato dal bugnato della pietra, le era sembrato un grandissimo pacco di biscotti. Lettere stampate, di un blu elettrico cangiante verso il viola, inondavano di echi di dolore tutti quegli spazi: ORFANOTROFIO BENEDETTINO. Le sollecitazioni, imposte dalla pietà di quella scritta, cominciarono a bucare tutta la sua pelle. Passò oltre, con passo più deciso, per ignorare i capricci della mente. Ma la distrasse una presenza, forse già avvertita in precedenza, che le fu accanto in una dozzina di secondi: un fantoccio sguaiato di carne umana, che sembrava, avanzando con troppa decisione, stesse arando l’asfalto sotto i piedi, calcando con forza la terra, ora a destra, ora a sinistra.
“Sa per caso dov’è l’orfanotrofio benedettino?” “è proprio dietro a noi, dieci passi e lo trova alla sua destra” rispose Erminia, riconciliata alquanto con la forma. E l’altra “ma lei, signora mia, non si è accorta che il paese già è finito? Dov’è diretta ormai?” “Io vado in cerca di una vita” rispose Erminia mentre andava.