di Maria Ricca
TEATRO - E’ ormai una vera e propria “total experience”, un’immersione totale e molto liberatoria nell’arte teatrale , attraverso le sue più diverse sfaccettature, “Dignità autonome di prostituzione” di Luciano Melchionna e Betta Franchini, che trova in questi giorni, nei suggestivi meandri di Castel Sant’Elmo a Napoli, animati all'inizio dalle musiche di Roberto De Simone , la location ideale per la sua più completa espressione.
La produzione è del Teatro Bellini - Fondazione Teatro di Napoli, che ha sempre creduto in questo format, e di Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro, in collaborazione con la Direzione regionale Musei della Campania.
E così rivive ogni sera, fino al 13 luglio, la vicenda antica del concedersi, per pochi o molti spiccioli, a chi fruisce, per alcuni "intimi" minuti, delle pillole del piacere più intenso, quello artistico ed intellettuale. Il senso della trasgressione, evocato in maniera esplicita, resiste e coinvolge gli spettatori, anche quelli più timidi, che si lasciano andare volentieri alle seduzioni degli interpreti in scena e, superate le iniziali ritrosie, sembrano non averne mai abbastanza. Ideale la sede prescelta per la versione estiva dello spettacolo, che consente la massima libertà agli spettatori, non incatenati alle sedie, che si accodano di volta in volta alle proposte dell’uno o dell’altro attore, lasciandosi ipnotizzare dal gioco della contrattazione con i dollarini di carta, che diventano oggetto di collezione e ricordo della serata, per chi non riesce a spenderli tutti.
C’è solo l’imbarazzo della scelta, fra cortigiane e prostituti dell’arte, per gli spettatori che, appartandosi nelle stanze, nella Chiesa sconsacrata o negli angoli più suggestivi dell’ampio cortile, si arrampicano anche su scaloni e scalette, per assistere alle diverse performances.
Sui testi del regista ed autore Melchionna, si esibisce il giovane neomelodico di belle speranze, che racconta dei suoi inizi a teatro, alle prese con una navigata e sopravvalutata vedette. Poi l’artista di mestiere, che scava, con sapienza, nel profondo dell’intimo di ciascuno, narrando della sua nascita “tarata” e della sua voglia materna di riscatto. Infine, la prorompente fisicità del “diverso”, il corpo muscoloso disegnato dai tatuaggi, fascino ambiguo e voce accattivante, che in palcoscenico centrale si trasformerà alla fine in “Priscilla”, la più coinvolgente delle drag queen. Unico rimpianto: il non poter assistere, per ragioni di tempo, a tutte le performances proposte, che si trasforma in voglia di restare e di tornare, per completare l’opera.
Infine, ci si ritrova tutti insieme nel liberatorio affresco finale, la “Festa della Vita” con il “Papi” Melchionna, che non si risparmia, continuando a girare fra la gente, muovendosi e cantando a ritmo di musica, con gli attori, da “New York, New York” a “Kiss”, passando per la tradizione partenopea antica e la nuova melodicità. Tutti si mescolano a tutti e si invitano giovani e non più giovanissimi a ballare e a cantare, fino alla fine, quando attori e regista si congedano "personalmente", salutando il pubblico alla porta.
Impossibile non lasciarsi coinvolgere in quella che resta l’idea artistica fra le più brillanti, da qualche anno a questa parte, animata dalla rivendicazione dell’immortalità del teatro, sopravvissuto con caparbietà ai danni della pandemia .