di Maria Ricca
TEATRO - “Facciamo conto che il mondo
siamo noi”. Settantacinque anni di matrimonio sono più di una vita per un uomo
e una donna, che si riflettono l’una nell’altro, in quell’alternarsi di ricordi
che non è solo nostalgico, ma qualcosa di più, è essenza stessa della loro
condizione. E sentono il bisogno di raccontarla al mondo la propria esistenza,
che confluisce nel messaggio prepotente della vita e di quanto ha insegnato
loro, avvertendo l’impulso irresistibile di comunicarlo all’umanità. Solo poi
potranno lasciarlo, questo mondo, insieme, naturalmente, come sono vissuti
finora, nella certezza di aver compiuto il proprio percorso.
E’ il tema de “Le sedie”, adattamento dall’omonimo testo di Eugène Ionesco, realizzato da Antonio Iavazzo, regista, drammaturgo ed autore di testi, con Gianni Arciprete, anche interprete principale, insieme a Licia Iovine, dell’allestimento proposto in scena nell’ambito della rassegna “Fazio Open-Theatre”, diretta dallo stesso Iavazzo, al Palazzo Fazio di Capua. Quest’ultimo testo chiude la sua reinterpretazione della trilogia di Ionesco, l’esponente più rappresentativo, con Beckett, del teatro dell’assurdo.
“Le sedie” è “una farsa tragica”
come la definì lo stesso Autore, e come
ha ribadito Iavazzo, in sede di presentazione in sala e nell’incontro conclusivo
con gli attori al termine dello spettacolo, aperto alle domande degli
spettatori, ovvero “un classico che ancora oggi demolisce tutte le convenzioni
su cui si basa la nostra quotidianità.” .
Ed infatti c’è una tragica
allegria nei protagonisti, vestiti di tutto punto, lei, Semiramide, vezzosa
vestale dell’intimità domestica, nella sua frivola vestaglia rosa, con
pantofole abbinate, lui più solenne, elegante, ma pure sbarazzino nei modi,
certamente disincantato. Tocca innanzitutto
al marito, “maresciallo d’alloggio” e non di più, come avrebbe voluto la
moglie, ambiziosa, avviare i flusso dei
ricordi, sulle note dei balli da entrambi preferiti in gioventù. Di lì è uno
scorrere infinito di memorie, da quelle più allegre a quelle più dolorose, come
la tragica perdita della madre di lui, compensata dall’affetto di lei, che si
fa “mammina”, come molte mogli diventano, per colmare il vuoto di una genitrice
scomparsa fra i sensi di colpa. E poi il figlio desiderato e mai davvero posseduto…Quanto
hanno imparato insieme e quanto vogliono condividere con i propri “invitati” al
simposio immaginario, che pure sanno costituire, arricchito persino dalla
presenza di un sovrano potente a cui rivolgere il dovuto omaggio servile ! Una
costruzione di linguaggio e di emozioni, perfettamente architettata da Antonio
Iavazzo, che rilegge criticamente il testo di Ionesco, ridandogli vita ed attualità, fondando certo sull’arguzia e
la sensibilità di Gianni Arciprete, co-autore e regista, il quale anima con la
consueta amabilità la figura del marito, conferendogli di volta in volta
tragica austerità e moderna leggerezza e sulle sfumature interpretative di
Licia Iovine, “stralunata” moglie, che sa però riportare, ogni volta, il
coniuge sui binari della vita reale, ricordandogli le sue qualità, mai troppo
sfruttate in gioventù, ma anche i suoi difetti. Perfetta la sintonia fra i due,
che ricostruiscono, fra mottetti e battute, una quotidianità appena appena
caratterizzata da accenti partenopei, in un confronto serrato fra se stessi e
gli “altri”, ospiti immaginari, ma resi
vivissimi nel rivolgersi dialogante a loro, e nelle reazioni provocate.
L’epilogo, struggente, ma non
triste, li vede affondare nella profondità di un mare infinito, e tranquillo,
però, nel quale potranno sublimare, come
farebbe ciascuno di noi, i drammi e le gioie della loro esistenza, che assumono
i caratteri dell’universalità.
Il finale resta aperto, come
avrebbe voluto Ionesco, lasciando allo spettatore ogni possibilità di
interpretazione. Ma solo per modo di dire. Infatti, la complicità dei due, che
hanno percorso insieme ben settantacinque anni della loro esistenza, li rende
fortissimi e guerrieri nei confronti del mondo e sembra lasciare la speranza,
ancora, della possibilità di incontri autentici, grazie ai quali affrontare il
percorso della vita, senza necessariamente perdersi o scontrarsi con un muro di
incomunicabilità.
Fotogallery