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17/04/23

CAPUA - Successo per "Le sedie", farsa tragica di Ionesco, "ripensata" e riletta da Antonio Iavazzo, con Gianni Arciprete e Licia Iovine

 


di Maria Ricca

TEATRO - “Facciamo conto che il mondo siamo noi”. Settantacinque anni di matrimonio sono più di una vita per un uomo e una donna, che si riflettono l’una nell’altro, in quell’alternarsi di ricordi che non è solo nostalgico, ma qualcosa di più, è essenza stessa della loro condizione. E sentono il bisogno di raccontarla al mondo la propria esistenza, che confluisce nel messaggio prepotente della vita e di quanto ha insegnato loro, avvertendo l’impulso irresistibile di comunicarlo all’umanità. Solo poi potranno lasciarlo, questo mondo, insieme, naturalmente, come sono vissuti finora, nella certezza di aver compiuto il proprio percorso.


E’ il tema de “Le sedie”, adattamento dall’omonimo testo di Eugène Ionesco, realizzato da Antonio Iavazzo, regista, drammaturgo ed autore di testi, con Gianni Arciprete, anche interprete principale, insieme a  Licia Iovine, dell’allestimento proposto in scena nell’ambito della rassegna “Fazio Open-Theatre”, diretta dallo stesso Iavazzo, al Palazzo Fazio di Capua. Quest’ultimo testo chiude la sua reinterpretazione della trilogia di Ionesco, l’esponente più rappresentativo, con Beckett, del teatro dell’assurdo.

“Le sedie” è “una farsa tragica” come la definì lo stesso Autore,  e come ha ribadito Iavazzo, in sede di presentazione in sala e nell’incontro conclusivo con gli attori al termine dello spettacolo, aperto alle domande degli spettatori, ovvero “un classico che ancora oggi demolisce tutte le convenzioni su cui si basa la nostra quotidianità.” .

Ed infatti c’è una tragica allegria nei protagonisti, vestiti di tutto punto, lei, Semiramide, vezzosa vestale dell’intimità domestica, nella sua frivola vestaglia rosa, con pantofole abbinate, lui più solenne, elegante, ma pure sbarazzino nei modi, certamente disincantato.  Tocca innanzitutto al marito, “maresciallo d’alloggio” e non di più, come avrebbe voluto la moglie, ambiziosa,  avviare i flusso dei ricordi, sulle note dei balli da entrambi preferiti in gioventù. Di lì è uno scorrere infinito di memorie, da quelle più allegre a quelle più dolorose, come la tragica perdita della madre di lui, compensata dall’affetto di lei, che si fa “mammina”, come molte mogli diventano, per colmare il vuoto di una genitrice scomparsa fra i sensi di colpa. E poi  il figlio desiderato e mai davvero posseduto…Quanto hanno imparato insieme e quanto vogliono condividere con i propri “invitati” al simposio immaginario, che pure sanno costituire, arricchito persino dalla presenza di un sovrano potente a cui rivolgere il dovuto omaggio servile ! Una costruzione di linguaggio e di emozioni, perfettamente architettata da Antonio Iavazzo, che rilegge criticamente  il testo di Ionesco, ridandogli vita ed attualità, fondando certo sull’arguzia e la sensibilità di Gianni Arciprete, co-autore e regista, il quale anima con la consueta amabilità la figura del marito, conferendogli di volta in volta tragica austerità e moderna leggerezza e sulle sfumature interpretative di Licia Iovine, “stralunata” moglie, che sa però riportare, ogni volta, il coniuge sui binari della vita reale, ricordandogli le sue qualità, mai troppo sfruttate in gioventù, ma anche i suoi difetti. Perfetta la sintonia fra i due, che ricostruiscono, fra mottetti e battute, una quotidianità appena appena caratterizzata da accenti partenopei, in un confronto serrato fra se stessi e gli  “altri”, ospiti immaginari, ma resi vivissimi nel rivolgersi dialogante a loro, e nelle reazioni provocate.

L’epilogo, struggente, ma non triste, li vede affondare nella profondità di un mare infinito, e tranquillo, però,  nel quale potranno sublimare, come farebbe ciascuno di noi, i drammi e le gioie della loro esistenza, che assumono i caratteri dell’universalità.

Il finale resta aperto, come avrebbe voluto Ionesco, lasciando allo spettatore ogni possibilità di interpretazione. Ma solo per modo di dire. Infatti, la complicità dei due, che hanno percorso insieme ben settantacinque anni della loro esistenza, li rende fortissimi e guerrieri nei confronti del mondo e sembra lasciare la speranza, ancora, della possibilità di incontri autentici, grazie ai quali affrontare il percorso della vita, senza necessariamente perdersi o scontrarsi con un muro di incomunicabilità.

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